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Ambientazione On-Game

Dagli antichi testi

Fu Khron. Questo si deve sapere. Poichè anche il nemico più cruento non può non riconoscere il genio di un avversario, quando questo è così palese. E come decise che l'essere umano dovesse essere limitato, così Khron adottò delle misure se l'impossibile fosse accaduto. Gli altri Dei quasi lo sbefeggiavano a riguardo, sebbene lo lasciassero comunque fare, affiscinati da quella che consideravano come una sorta di bizzarria, forse un modo di divertirsi che loro non capivano.

Il Dio del Tempo e dei Limiti, temeva. E, si badi bene, non è l'equivalente dell'umana paura ma la consapevolezza che solo il vero ingegno e la vera saggezza possono donare. L'insieme delle due fa solitamente la lungimiranza. Ed Egli temeva che, prima o poi, Selyn ed Ehlias avrebbero scovato un modo. O, ancor peggio, che gli umani avrebbero trovato la forza di ribellarsi ed elevarsi: d'altronde nessun Dio era riuscito a creare qualcosa di simile a quegli esseri e Khron era l'unico a farlo presente, nella stizza dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Qualcosa potevano riserbare, quei piccoli insetti; lo stesso qualcosa che aveva permesso quel genere di esistenza e che nessuna Divinità ancora aveva capito. Persino Cehon, almeno su questo punto, si interrogava in quello che era forse l'unico enigma che lui non creava e, in effetti, subiva.

Khron decise quindi di non lasciare niente al caso. E tre, furono i passaggi: intrise i sacri oggetti divini del sangue dei loro detentori, racchiudendone una stilla di vera, unica e pura essenza. Promise, con tutta la convinzione assoluta che solo la superbia di un Dio può racchiudere, che se anche uno di loro avesse raggiunto un limite, questo limite sarebbe stato alla stessa stregua di un errore e, quindi, qualcosa che poteva essere riparato. Ora e sempre. Prese una vita. Poiché in due nacquero ma solo uno sopravvisse. L'altro, dilaniato su un altare di pietra. Può esserci sacrificio più grande del Figlio di un Dio, un sacrificio compiuto dallo stesso Padre?

Il Dio del Tempo non poteva prevedere cosa sarebbe accaduto quando gli Dei si sarebbero scontrati contro un limite che non era stato Lui stesso a porre. Ma, sprigionando tutta quella Energia, si assicurò che qualsiasi cosa sarebbe accaduta, un oggetto, una promessa e una vita avrebbero posto rimedio.

La seguente pergamena è custodita in un angolo della Biblioteca di Henosis, ove si trovano i documenti più antichi. Sotto una teca polverosa, lì rimane. Nessuno ne comprende perfettamente il significato e alcuni scettici la ritengono una reliquia di poco conto. Tuttavia qualcuno è convinto che si tratti del documento più antico di tutta Akasha.

Trova il luogo del sonno eterno.

L'artefatto aprirà la porta

se Aria, Acqua, Terra e Fuoco

gli offrirai.

Un oggetto, una promessa e una vita.

Attento a ciò che desideri.

 

 

 

Sul retro della pergamena, in grafia veramente minuta, seguono le seguenti parole: una promessa, pronunciata senza voce.

  Mohrag, signora dell'Aria, la prima donna eletta Taranis dei Clan. Era bellissima come solo una fanciulla dell'Aria può esserlo: alta, muscolosa e possente, in grado di sbaragliare, corpo a corpo, ogni rivale di genere maschile o femminile che fosse. "La Rosa dei Venti" era il suo soprannome poiché del fiore deteneva la bellezza, del vento, invece, l'insidiosa furia. Regnava, giusta e caparbia, sulle tribù di Luft e nessuno osava sfidare la sua autorità; nessuno, fatta eccezione per l'unica altra donna che, a quel tempo, regnava su un altro Elemento: il Fuoco. La Fenice, regina di Aidelon e dominatrice di ogni Fiamma. Kira, il suo nome, "la Rosa del Deserto" come veniva appellata. Kira poteva competere con Mohrag in quanto a bellezza, determinazione e autorità ma, rispetto alla rivale, poteva vantare una crudeltà decisamente superiore e, soprattutto, il desiderio - ardente quanto l'incendio più indomabile - di rivendicare per sé l'onore che i suoi predecessori uomini sempre fallirono nel perseguire: la conquista dell'Aria, l'unico Elemento che alimenta e potenzia il Fuoco nella maniera più assoluta. Già solo questo basterebbe ma, ad onor del vero, una motivazione più veniale e passionale, guidava il Fuoco e la sua Rosa. Su cosa possono scaramucciare due donne fino a provocare una Guerra senza eguali? L'amore ovviamente. Un uomo, ovviamente. Poiché Kira non perdonò mai l'alto tradimento del suo consorte, Draedan. Egli fuggì, abbandonò il Fuoco, la sua Fenice, un gesto gravissimo di per sé ma ancora più letale di quanto umani, Dei ed Elementi possano mai comprendere: "Il cielo non conosce ira pari all'amore che si trasforma in odio, né l'infernale Oltretomba una furia pari a quella di una donna respinta". Kira si rivolse al Fuoco, bruciante di rabbia. Strappò il proprio cuore dal petto per gettarlo nelle fauci del vulcano ed offrirlo alle Salamandre. E il Fuoco rispose, donandole il cuore e la vista del serpente, la cui assottigliata pupilla prese a brillare in uno degli occhi della Fenice. Persino gli sciamani furono intimoriti dall'oscuro rituale che Kira aveva officiato. Dalla Bocca di Fuoco emersero tre grandi draghi: uno color dell'oro, l'altro rosso quanto il Fuoco stesso e l'ultimo nero come la notte.

Kira guidò il suo esercito contro i confini di Luft, conquistò e bruciò, aprendosi la strada per la Capitale dell'Aria.

Correva l'anno 478 dell'Era degli Uomini, l'esercito Aideloniano arrivò alle porte della Città. Quella che si svolse fu la famigerata "battaglia dei draghi" un lungo ed epico scontro che vide combattere eroicamente gli uomini da una parte e dall'altra: Aria e Fuoco vincevano e perdevano a fasi alterne; in molti perirono, sempre meno sopravvivevano. Kira osservava i Draghi volare in cielo, in attesa di un suo comando. Eppur tergiversava. Correva per la città, abbattendo i nemici con la propria magia mentre gridava il nome di Draedan con tutta la voce che possedeva. E poi lo vide, lì, ai piedi della Torre Borea... mentre difendeva Mohrag con tutto il suo ardore, il suo coraggio, la sua forza. Il cuore di serpente di Kira parve fermarsi ma non prima ch'ella avesse urlato ai draghi di bruciare tutto e tutti, incurante della condanna a morte che infliggeva anche ai propri uomini. E i Draghi obbedirono.

Quando i Chierici dello Spirito raggiunsero Luft, ai piedi delle grandi e imponenti torri, trovarono mucchi di cenere. I Gwaihir ricacciarono i draghi, ormai senza più padrone, verso il deserto infuocato; Sciamani e Diavoli sopravvissuti erano allo stremo delle forze, dimezzati ed increduli di fronte alla strage appena avvenuta. Così i Barbari e gli Arcani dell'illusione.

Di Kira, Mohrag e Draedan non fu trovaccia traccia alcuna.

 

  Si narra che nelle paludi di Lalyn, lì nascosto nella melma, si nascondesse un drago. Di tanto in tanto usciva dal proprio nascondiglio e si avvicinava alla città, uccidendo con il proprio fiato qualunque umano incontrasse. Gli abitanti di Hydor iniziarono ad offrirgli pecore, capre e i pochi animali da allevamento che erano a disposizione. Per accontentare la creatura iniziarono a pescare pesci più grandi e, una volta, convinti di soddisfare il drago una volta per tutte andarono contro la propria stesse fede e lasciarono che nella pelude nuotasse un'ondina. L'Acqua mostrò la propria ira e gli Hydoriani non goderono più di alcun frutto del mare. Quando il bestiame iniziò a scarseggiare, non ebbero altra scelta di offrire la vita di un giovane o di una giovane, il cui tragico destino veniva a scelto tirando a sorte tra gli abitanti della città e dei villaggi. Un giorno, venne estratta a sorte Thalia la figlia del Re dei Pirati. Il Re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e tutte le sue navi per non perderla, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il Re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso la palude per essere offerta al drago. E giunse Seòras, cavalcando il più splendente ippocampo che occhio umano avesse mai veduto. Il giovane comprese che il drago poteva essere domato, intimorito dall'Acqua che poteva spegnere per sempre il Fuoco che gli bruciava nelle viscere. Così convinse Thalia ad esercitare la propria magia ed insieme condussero la creatura in città. Dapprima gli abitanti furono atterriti dal vedere il drago avvicinarsi ma Seòras li tranquillizzò, dicendo di non provare paura poiché l'Acqua lo aveva mandato per liberarli dal drago e, se avessero avuto piena Fede nell'Elemento, il mostro sarebbe stato ucciso. Allora il Re e la popolazione si pentirono dell'aver adirato l'Acqua e offrirono i loro averi al mare affinché Ondine e Tritoni potessero guardare di nuovo con amore alle genti di Hydor. Seòras uccise il drago, lo fece portare fuori dalla città e lo rigettò nella palude di Lalyn, guardandolo dissolversi nella melma.

Correva all’incirca l’anno 270 dell'Era degli Uomini. A quel tempo, Seòras regnava sulla Terra come suo Imperatore, famoso per proprio coraggio, la sincerità, la generosità e lo spiccato senso di giustizia. Tuttavia, nonostante la Nazione godesse di un tempo di pace, prosperità ed armonia - o forse proprio per questo motivo - qualcosa accade: il Bosco delle Driadi e le pianure circostanti divennero territorio di caccia di un terribile drago, altrove conosciuto col nome di Zerelth, ma che gli abitanti della zona ribattezzarono “Morte Dorata” per via del colore lucente delle sue scaglie. Ammorbava l’aria con un fiato pestifero e le greggi di pecore, in particolare  erano il suo cibo preferito. Quando sull’altopiano, nei paesi vicini e in in tutta la valle non ci furono più pecore da divorare, Zerelth iniziò a bruciare dapprima i campi, poi le case... ed infine la sacra foresta, in cerca di altro cibo. La gente di Tarsia prese allora la drammatica decisione di offrirgli in sacrificio giovani della Città, estratti a sorte, al fine di placare le sue ire. Il fato volle che un giorno tra le vittime designate venisse indicata la nobile Regina delle Driadi, Alanora, che fu legata ad una pianta di sambuco e abbandonata al suo triste destino. Il valoroso Seòras, che aveva un debole per la Regina, non appena venne a conoscenza di questa notizia si recò in soccorso della giovane, cavalcando il proprio destriero bianco; strada facendo escogitò una sottile astuzia per poter ammansire il drago, una volta giunto nel luogo ove il sacrificio stava per compiersi. Durante il viaggio, si fermò da un fornaio e acquistò numerosi dolcetti ricoperti proprio con i petali dei fiori del sambuco, pianta che solo in quel di Tarsia si può trovare. Quando giunse dalla Regina trovò il mostro pronto ad addentarne le carni. Riuscì a distoglierlo da quella occupazione e lo attirò verso di sé: estrasse i dolcetti dalle proprie tasche e li gettò tra le fauci di Zerelth.

La diabolica creatura, grazie all’effetto rilassante generato dai fiori del sambuco, da belva spietata che era, divenne improvvisamente docile come un cagnolino e seguì senza esitare Seòras e Alanora fino alla città di Tarsia. Qui, nel labirinto dei mille sentieri, innanzi alla voce della verità, l'Imperatore estrasse il proprio arco e mirò alla giugulare del drago.

Accadde così che la testa del mostro si staccò con un sol colpo e rotolò sconfitta e sanguinolenta, senza arrestarsi, in una capitolante discesa, fino al pozzo dei perduti amanti; venne catturata, rimbalzata e sospinta e inghiottita dalla Terra mentre il resto del corpo diveniva un ammasso roccioso. Si narra che ancora oggi un passaggio segreto, nascosto nel pozzo, custodisca l’unica reliquia del drago famelico che da mangiatore di uomini divenne il pasto della verde Terra.

Molti hanno cercato, alcuni affermano di aver veduto, ma mai, mai nessuno ne ha portato vera prova. Le radici degli antichi alberi ne sono testimoni: la testa si trova ancora lì, immobile tra terra e flora, tra realtà e leggenda, tra noi e le viscere del Mondo. È lì che attende di mostrarsi nuovamente a tutti.

Correva l'anno 323 dell'Era degli Uomini. Vengard, l'Oracolo della Tempesta, scrutava il cielo tempestato di stelle, lì dall'alto della Torre Zefiro. Nel cielo terso, gli astri brillavano come gioielli preziosi e Vengard non poté fare a meno di rivolgersi non all'Aria ma allo Spirito, ringraziando l'Akasha per un tale spettacolo per gli occhi. Stava quasi per volgere lo sguardo altrove e andarsene a dormire quando così, di colpo, una stella cadente gli attraversò il campo visivo. La luce emanata dall'astro si colorò di un bagliore argenteo tale da costringere l'Oracolo a pararsi gli occhi con una mano, nemmeno fosse giorno e un insolente raggio di sole l'avesse abbagliato. Per un attimo trattenne il respiro, guardando come quel bagliore si infragesse sulle cime, precisamente dove Vengard sapeva trovarsi il Nido delle Aquile. Non indugiò ovviamente, nonostante non fosse più giovanissimo e le ossa iniziassero a dolere. Scese scale e scale di corsa e, senza riflettere e mosso solo dall'istinto, iniziò ad inerpicarsi al buio tra i sentieri impervi, ghiacciati e rocciosi che conducevano al luogo più sacro di tutta Luft. Si stupì anch'egli di non avvertire la fatica, bensì un crescente vigore come se il tempo fosse tornato indietro di vent'anni almeno. La luna gli illuminava il cammino e le stelle sembravano invitarlo a proseguire, conducendolo all'ingresso del Nido e al guardiano dormiente che gli Spiriti dell'Aria avevano scavato nella roccia. Lì, proprio poco prima dell'entrata, qualcosa di luminoso emanava la medesima luce che Vengard aveva veduto nel cielo; pulsava, raggi argentei e bellissimi. Il Saggio si avvicinò, prudente e timorato poiché sapeva che lo Spirito e l'Aria, all'unisono, l'avevano prescelto per una missione importante. Guardò oltre la luce, riuscendo a vedere. A quel punto, semplicemente, sapeva. Sapeva che, se solo avesse voluto, sarebbe diventato l'Oracolo più potente di tutti i tempi; anzi, sapeva che avrebbe potuto trascendere il proprio Elemento ed elevarsi al pari di un Dio; sapeva che l'intero Mondo era lì, sotto ai suoi piedi, pronto per essere conquistato. Eppur sapeva anche che, se quel piccolo tesoro era giunto a lui, era proprio perchè lui e lui soltanto sarebbe riuscito ad opporsi ad una simile tentazione. Prese un respiro, lasciando che la sua mente entrasse in contatto con il fluire dell'Aria nel proprio corpo. Un respiro, un altro respiro, un momento dopo un altro momento, richiamò il potere insito in lui e affinché Dwyfan, l'ippogrifo, lo raggiungesse. La creatura comparve in una manciata di istanti: "Dwyfan, mio caro e fidato amico, ti prego di accompagnarmi in questo mio ultimo viaggio". L'ippogrifo caricò Vengard sul proprio dorso ed insieme attraversarono il cielo e le stelle. Giunsero ove riposava il cuore puro e lì l'Oracolo nascose ciò che era perduto e per cui gli Uomini non erano pronti.

Quando sorse il Sole, Vengard venne trovato senza vita nel suo letto. Eppure, tutti dissero, l'espressione in viso mostrava la pace più assoluta.

"Sotto l'antico Tempio l'uno e trino aspetta, che adorna d'opere di artisti incantati. Calice e Lama sorvegliano l'Eletta. Riposa infine sotto cieli stellati".

La storia della città di Henosis è stata caratterizzata da periodi di crisi dovute alle malattie, agli scontri ed alla siccità. Sebbene la città sia stata costruita in una zona ricca di falde che alimentano da sole la totalità delle risorse cittadine, la memoria dei tempi in cui l’acqua si è mostrata preziosa è rimasta scritta con forza nelle narrazioni popolari prima che nei libri.

Dieci secoli or sono, Heslak di Henosis, osservatore della natura prima che inventore, propose ai signori cittadini la realizzazione di un acquedotto che collegasse un punto prossimo al corso collinare del Lympha Alba, ove il più grande fiume del continente riceveva la confluenza di una significativa sorgente non lontana dall’area cittadina, con la capitale della regione. Il dislivello tra la sorgente dell’affluente e la città, sarebbe stata la forza motrice del flusso. L’opera prevedeva un primo tratto di incanalamento della acque sorgive attraverso un passaggio sotterraneo che attraversava la collina alternato da diversi pozzi di ispezione, fino alle paratie che ne avrebbero regolato il flusso una volta giunti a cielo aperto; al termine del canale sotterraneo veniva posta una vasca di sedimentazione per il deposito dei detriti accumulati nel passaggio montano; successivamente, le acque venivano portate attraverso la parte architettonicamente più imponente dell’opera: possenti fondamenta in pietra sormontate da due piani di arcate a ponte (alte fino a 30m), a loro volta sovrastate dalla condotta vera e propria, ove le acque venivano lasciate scorrere all’interno di un canale coperto per alcune decine di chilometri; vennero create due condotte sovrapposte per il passaggio dell’acqua, la più alte delle quali era destinata nel tempo e seguire l’aumento di richiesta idrica; le condotte si presentavano come canali in muratura, rivestiti da diversi strati di intonaco impermeabilizzante e accuratamente lisciato per facilitare lo scorrere dell’acqua, con pozzi di ventilazione e di ispezione ogni 100 passi; le dimensioni di ciascuna condotta erano di 1 passo di larghezza per 2m di altezza.

                 

La struttura si sviluppava ad Ovest del sentiero proveniente dal Ponte dei Pellegrini, fino all’esterno del lato meridionale della città, ove le acque venivano raccolte in quattro vasche di distribuzione dalle quali all’occorrenza veniva pompata l’acqua all’interno delle mura cittadine, attraverso canalizzazioni sotterranee.

L’acquedotto era intervallato da diversi serbatoi di sicurezza (rigorosamente una volta che il sistema avesse raggiungo la pianura) per fare in modo che guasti localizzati non compromettessero il funzionamento dell’intera struttura e si potessero facilmente effettuare interventi di controllo. La distribuzione veniva effettuata tramite sifoni ad “U” e tubazioni sotterranee in bronzo a pressione, costituite da condotte di breve lunghezza che se da un lato depotenziavano il flusso dell’acqua dall’altro consentivano una migliore capacità di sostituzione di tratti guasti ed un più rapido ripristino del servizio. I ponti che permettevano l’attraversamento del lato Meridionale e di quello Nord-Orientale del Grande Canale, vennero utilizzati come strutture portanti per consentire il transito dei tubi e rifornire così anche l’area centrale attigua alla Fortezza (servita nello specifico grazie a pompe idrauliche), fino alle zone limitrofe la piazza Piazza dei Mercanti.

La storia della maggiore città di Akasha, Henosis, è costellata da imprese eroiche, da vittorie e sconfitte, da storie dell’oligarchia delle case nobiliari, da atti di dispotismo dei singoli signori.

Ma buona parte di ciò che è oggi la città, intesa come l’unione dei luoghi di vita, di cultura e di lavoro, la si deve all’ingegno di coloro che con capacità di osservazione, inventiva, perizia e pazienza, hanno creato ciò che permette ad Henosis di essere il primo centro urbano per attività svolte e creazione di ricchezza dalla lavorazione delle materie prime.

Circa dieci secoli or sono, Heslak di Henosis si rese protagonista di considerazioni e miglioramenti che da sole aumentarono di ben tre volte volte la produzione tessile cittadina.

Le sue osservazioni nacquero dalle caratteristiche morfologiche della città: una zona portuale mediamente pianeggiante e via via una serie di zone leggermente più alte rispetto al livello delle acque con al centro un colle d’altezza maggiore e dalla forma triangolare, prima di giungere ad alcune zone a Nord-Est del colle posta pochi passi al di sotto del livello del mare. Pochi secoli dopo la costruzione della città di Henosis, venne creato un fossato triangolare che circondava l’area del colle centrale abitato dalle famiglie più antiche e potenti, dividendolo dalle zone periferiche abitate dal resto della popolazione lavoratrice ed utilizzando la stessa preziosa acqua delle falde.

La costruzione della cinta muraria che proteggeva l’intero territorio cittadino dalle incursioni provenienti dall’esterno, era stata possibile partendo dal concetto che nessun torrente varcasse i confini cittadini, lasciando che a rifornire i molti pozzi di Henosis fossero le innumerevoli falde acquifere sotterranee, cariche d’acqua ma prive di una vera e propria forza motrice.

Fu Heslak a progettare la costruzione di due canali paralleli che collegassero il lato occidentale del fossato triangolare, alla costa nella zona portuale. Un sistema di paratie avrebbe regolato il flusso dell’acqua dal mare al fossato triangolare attraverso il canale Nord, mentre un sistema analogo ma complementare ne avrebbe regolato il deflusso dal fossato al mare tramite il canale Sud. Il fossato, divenne così l’odierno Grande Canale Henosiano, con il fondale che venne abbassato nella sua parte occidentale (presso la zona portuale) e con una grande opera muraria di rafforzamento degli argini indispensabile a garantire la tenuta dell’imponente flusso d’acqua circolare che si sarebbe creato in senso orario, nelle ore di alta marea, per poi essere lasciato defluire in base alle esigenze alimentando un moto nello stesso senso di rotazione a qualsiasi ora del giorno o della notte.

Ma quali erano queste esigenze..?

I mulini tessili.

La Strada dei Tessitori, attigua al lato Nord-Est del Grande Canale, vedeva le botteghe tessili affacciarsi sulle acque costantemente in movimento nel canale triangolare; l’acqua veniva mandata ai mulini attraverso le chiaviche, piccoli sotterranei che sottraevano acqua al canale principale per portarla separatamente a ciascun mulino. Heslak progettò apposite ruote in grado di sfruttare la potenza motrice costantemente offerta dall’acqua marina messa in circolo nel canale, in modo da far funzionare i mulini da seta con un regime quasi costante, attivando l'albero centrale che arrotolava contemporaneamente una grande quantità di fili in aspi e rocchetti.

L’innovazione rese Henosis, nei secoli successivi, il centro continentale per la produzione dei filati di maggior pregio, unendo alla qualità del materiale una capacità produttiva fino ad allora inimmaginabile per qualsiasi altra città.

Le paratie che regolavano la costanza del flusso d’acqua marina, prima dalla costa verso l’interno del Grande Canale poi nel senso opposto, venivano sorvegliate e controllate con frequenza giornaliera in modo che i dispositivi meccanici posti su di un canale fossero regolati costantemente in base all’azione dei loro antagonisti sull’altro ed a seconda delle necessità cittadine.

Oltre alla paratie, in metallo, legno e cemento, vennero creati alcuni ponti mobili che consentivano sia il passaggio di persone, cavalli e carri sui rispettivi canali di collegamento tra la zona portuale e le zone a Nord/Sud della città, sia la temporanea rimozione degli stessi per consentire l’ingresso (dal canale Nord) e l’uscita (dal canale Sud) di piccole imbarcazioni merci fino al Grande Canale Henosiano: l’aumento della larghezza e l’abbassamento del fondale del Grande Canale presso la zona portuale, avrebbe consentito da ora la presenza di piccole imbarcazioni per il trasporto di piccoli carichi nel tratto del raccordo navigabile del triangolo, mentre i due canali di collegamento con il mare avrebbero continuato a permettere il passaggio di un’imbarcazione per volta in modo da consentire un controllo costante degli accessi via mare al centro cittadino, attraverso le torrette ed i punti di osservazione posti presso i ponti, le paratie e lungo gli argini dei due canali stessi. In questo modo, sarebbe stata stimolata all’attività commerciale nelle zone cardine di produzione e vendita dei beni cittadini, mantenendo alcuni punti fermi per garantire la massima e costante sicurezza della capitale.

Superfluo dire che anche il sistema di controllo e difesa legato all’opera, fu ideato e realizzato sotto la supervisione del geniale Heslak.

Nel completare la sua opera, Heslak dovette inizialmente interrompere il percorso di alcuni passaggi sotterranei che transitavano proprio sotto la zona portuale tagliandola da Nord a Sud; per garantire la continuità di quei passaggi potenzialmente utili, egli fece abbassare di 15 metri il percorso dei camminamenti posti strettamente sotto la zona portuale.

Nel corso dei secoli Henosis è stata sia la capitale politica che commerciale, all’interno del Morso degli Eterni. Il suo prestigio è andato di pari passo con il suo onere di divenire un punto di riferimento ed al contempo di proteggersi, tanto da terra quanto dal mare.

Tuttavia, a causa dell’assenza di isole o meglio ancora promontori innanzi alla costa Henosiana, non si prese mai in considerazione la possibilità di erigere un elemento che potesse fungere tanto da indicatore quanto da primo punto di difesa per il porto cittadino.

Intorno al primo millennio, l’inventore Heslak di Henosis, assertore del fatto che la natura non neghi nulla all’Uomo ma gli imponga solo di essere guardata in modi sempre diversi, formulò il suo pensiero a riguardo. Percorrendo la sommità dei camminamenti delle mura cittadine, fino alla torre di Nord-Ovest, alta oltre 30 metri ed a picco sul mare, egli individuò la presenza di quattro scogli tra di essi vicini e posti a formare un quadrato regolare; ipotizzò che nel punto compreso tra le quattro rocce, sarebbe stato possibile depositare una quantità di strati di pietra granitica, terra, sabbia, tutti attraversati da grosse travi metalliche verticali, sufficienti da gettare le basi di una piattaforma artificiale che avrebbe sollevato il fondale, fino a creare un unico scoglio quadrato di dimensioni ragguardevoli. Venne così creato il primo grande scoglio artificiale, quadrato ed avente come vertici i quattro scogli originari, con una superficie sia rocciosa che terrosa posta mediamente a 6 metri sopra il pelo dell’acqua. Al centro di esso, fu costruita un’ampia cinta muraria in mattoni, quadrata ed abitabile, alta a sua volta 6 metri, all’interno della quale vennero scavate le fondamenta di quella che sarebbe stata la più grande opera mai eretta sino ad allora nel territorio della capitale. Una torre in granito, a base quadrata di lato 18 passi, costituita da un primo corpo inferiore alto 45 metri, sormontato da un secondo corpo a base esagonale con lato di circa 8 passi ed alto 30 metri, per terminare con due piani di colonnato, uniti tra di essi dalla mancanza di un vero pavimento separatore composti da due grossi colonnati esagonali sovrapposti, di 13 metri di altezza ciascuno con lato di 6 passi. Il primo dei due colonnati aveva al suo centro un immenso braciere; il secondo ed ultimo colonnato terminava con una semplice cupola sovrastata da una statua dedicata ad Ehlias, Dio della luce, con viso rivolto al tramonto. In questi termini, veniva progettato ed eretto il progetto del Grande Faro di Henosis.

L’altezza totale della costruzione era di 99 metri (del solo faro, senza quindi contare la statua e lo scoglio artificiale sottostante). L’edificio venne costruito in modo che gli spigoli della sua base inferiore, puntassero con grande precisione la direzione dei punti cardinali.

L’area dell’isola artificiale, veniva collegata alla terraferma attraverso una costruzione che poteva essere vista come il proseguo ad “L” delle mura che sino ad allora erano culminate nell’ultima torre di Nord-Ovest. La cinta proseguiva dunque dal torrione sul fondale basso ad esso antistante verso l’interno dell’area costiera cittadina, descrivendo un angolo che la portava a deviare verso Ovest a metà della sua lunghezza, prendendo la forma di un ponte angolare, dotato di 50 triple file di colonne, molto ampie, sormontato da due piani di camminamenti (uno adibito al passaggio dei carri ed uno superiore per la ronda delle guardie) che conducevano dal centro dell’ultimo torrione di N-O delle mura cittadine al grandioso bastione marino. Il collegamento aveva una lunghezza di 500 passi ed un’altezza iniziale di 10 metri dal livello medio del mare (partendo quindi da circa metà dell’altezza del torrione N-O) degradando lentamente verso la piattaforma. La posizione ed i profili della piattaforma e del collegamento a terra, sono tali da coadiuvare il flusso di alta marea verso l’ingresso del canale Nord del porto.

Nella parte scoperta sovrastante il primo blocco inferiore del faro, erano stati disposti 6 specchi parabolici (a forma circolare e concava, di diametro pari a 2 metri ciascuno) completamente orientabili sia sul proprio asse orizzontale che su quello verticale, su ognuno dei quattro lati lato dell’edificio per un totale di 24 specchi. Alla loro capacità di raccogliere l’energia della luce solare (nelle ore dal mezzodì al tramonto) ed utilizzarla come segnale a lungo raggio veniva associata la possibilità di unirne l’opera per innalzare la temperatura delle superfici lignee entro un raggio di 100 passi dalla struttura (che nelle imbarcazioni più vicine, rese impermeabili tramite l’uso della pece, poteva creare situazioni al limite della combustione). Uno specchio parabolico di identica dimensione, era tenuto tra le mani della statua di Ehlias, e puntato verso Ovest, in modo tale da poter attivare il
combustibile posto al centro dei due colonnati sottostanti, provvedendo ad un’accensione automatica del faro una volta che il sole si fosse trovato a 30° sopra l’orizzonte marino, attraverso un foro sottostante la statua (opportunamente protetto dalla pioggia grazie alla posizione degli elementi della statua stessa); lo specchio era collegato ad un argano che consentiva di ruotarlo ed inclinarlo in base al periodo dell’anno. All’interno della struttura, una serie di carrucole consentivano il caricamento del combustibile da basso ed anche l’accensione manuale (in caso di cielo coperto o se ve ne fosse stata l’esigenza).

La struttura di base, permetteva al faro di fungere da avamposto marittimo di guardia, con ampie feritoie disposte lungo i 5 piani del primo blocco inferiore dell’edificio, dalla base fino al terrazzo degli specchi, feritoie sottese da un’ampia superficie di salita formata da un pavimenti perimetrali lievemente inclinati, in mattoni, capaci di sostenere il peso di decine di carri buoi a pieno carico.

I 5 piani del corpo inferiore, hanno un’altezza che va dagli 11 metri del primo piano ai 6 metri del quinto; ciascuno di essi è dotato di pavimentazione in granito, fatto salvo per la scalinata perimetrale. L’accesso dall’esterno al primo piano dell’edificio è consentito tramite due ampie scalinate (sui lati N-E e S-E) e da due altrettanto ampie rampe lisce (sui lati N-O e S-O) dedicate al carico di mezzi e merci, che dal cortile interno alla cinta muraria salgono verso il corpo centrale.

La cinta muraria esterna, alta 6 metri, è dotata di 4 torri angolari e di camminamenti protetti; la cinta ha una larghezza di 6 passi, ed è internamente dotata di alloggi per l’immagazzinamento di risorse, animali e degli incaricati per i turni di guardia. Vi sono 4 accessi sulla cinta muraria in corrispondenza del centro di ciascun lato, costituite da doppi portoni in legno e metallo con una cancellata verticale a caduta frapposta. Il collegamento dalla cinta muraria cittadina avviene sul lato Nord-Est, appena esternamente rispetto all’accesso corrispondente.

Il Grande Faro di Henosis, può fornire un’illuminazione notturna visibile fino a 30 km dalla costa; la sua illuminazione nell’entroterra è limitata dalla schermatura (rimuovibile) posta posteriormente alla sua sommità, sul lato Est.

Lo "Spirito", la quintessenza della forza degli Elementi uniti ed al contempo in opposizione tra di essi per creare un equilibrio perfetto, ha conferito il proprio potere agli Uomini affinché potessero entrare in sintonia con i suoi doni ed imparare a farne uso per proteggere l’Elemento supremo e per mantenere la stabilità tra gli altri Elementi in modo che quell’equilibrio fosse preservato.

Per fare questo, lo Spirito ha investito con il proprio anelito uomini molto diversi nel corso del  tempo. Ben 267 Custodi dell’Equilibrio si sono succeduti dal risveglio dello Spirito al termine dell’Era dell’Oblio fino a questo tempo, la maggior parte dei quali proveniente dal ramo dei Necromanti.

Non sono stati uomini di “bene” o di “male”, sono stati ciò di cui lo Spirito aveva bisogno in quel  momento storico ed anche nei casi di più grande fallimento, scandalo, debolezza, caduta, essi hanno in realtà consentito a chi fosse venuto dopo di loro di riportare con ancor più vigore il successo, l’integrità, la forza e l’ascesa del Quinto Elemento sugli eventi e sulle Nazioni del continente. Ciascun custode non è stato “storia” ma “parte della storia”, con un compito ben preciso che lo  Spirito ha spesso rivelato solo al termine di ogni esistenza.

Lo Spirito vede la storia come una serie di cicli formati da punti che ne determinano l’andamento e che hanno l’Equilibrio come scopo finale.

Ciascun ciclo tuttavia è cosa a sé, identificando, nella storia millenaria degli Elementi, alcuni momenti durante i quali è stata necessaria una scelta traumatica per mutare gli eventi e portarli ad evolvere in un’altra direzione, su di un altro piano.

Fino ad oggi, lo Spirito ha contato 7 cicli.

Ciascuno di essi è coinciso con il risveglio della Lama Nera, la quale ha sancito la scelta del  guerriero che l’avrebbe impugnata per imprimere il necessario cambiamento alla storia. Successivamente, la spada sarebbe divenuta un semplice simbolo di stabilità, confermando proprio con la sua quiete il corretto proseguo di quel ciclo. Ma, al bisogno, essa sarebbe sempre stata  pronta a risvegliarsi ed a scegliere il proprio guerriero per ogni nuova era.

[Da una trascrizione, compiuta da parte di Abraham, di un documento firmato "l’Apostolo"]

1° ciclo: Caduta degli Eterni – Anno 0, la Fine dell’Era dell’Oblio
Quando Terra, Acqua, Aria e Fuoco si risvegliarono, si dischiuse la porta dello Spirito  consentendogli di rinascere insieme allo spirito del suo eterno custode, Abraham. La Lama Nera, appena forgiata con il meglio degli elementi di Akasha, grazie agli strumenti  appartenuti agli Eterni e con il tocco di Selyn ed Ehlias, scelse il suo primo portatore risvegliando  l’anima ed il corpo di Keljon, il Corvo della Notte, conosciuto come il più grande combattente di  ogni tempo, colui che sconfisse il Dio della Guerra e che condusse i Corvi di Henosis alla  liberazione della città, dando vita all’Ordine dello Spirito e creando, insieme ai suoi membri, gli  elementi basilari della futura nazione Henosiana.

2° ciclo: Nascita della Nazione dello Spirito – Anno 180 d.c.e.
Per quasi due secoli, Henosis era stata un punto di riferimento spirituale e culturale; a seguito della crescita delle altre Nazioni circostanti, Henosis dovette aumentare il proprio potere politico e militare per poter garantire l’Equilibrio non solo a livello del culto dello Spirito, ma anche nei numeri e nelle forze all’interno del continente.
La Lama Nera, si risvegliò per la seconda volta scegliendo Savhor il Grande, il condottiero che riunì in un’unica Nazione facente capo ad Henosis, gli altri sei villaggi situati nella terra tra i due grandi fiumi, unendo la propria abilità dialettica a quella militare ogni qual volta fosse stato necessario mostrare i muscoli per far valere la ragione dell’unità. Questo portò all’esibizione di  diverse prove di forza che tuttavia non sfociarono mai in significativi spargimenti di sangue: l’unificazione ufficiale dei villaggi della nazione dello Spirito avvenne in modo a volte morbido a volte meno, seguendo sempre una falsariga di civiltà e comprensione che garantì un’iniziale  autonomia delle singole realtà, nel rispetto dei costumi e delle tradizioni locali.

3° ciclo: Indipendenza del continente di Akasha – Anno 962 d.c.e.
In prossimità del primo millennio di storia, forze provenienti da terre oltre oceano, dal lontano continente di Antermor, cercarono di espandersi oltre il mare di Giada, raggiungendo le coste di Akasha. L'Impero di Harthax, così si chiama tutt'ora. Molti villaggi furono presi e strappati alle rispettive nazioni, creando una serie di enclavi straniere nel continente che si unirono creando una nuova provincia imperiale, minando il potere e l’autonomia degli Elementi. La stessa capitale, Henosis, per un breve periodo venne assediata e, seppur resistendo, subì una stagione di vessazioni.
La Lama Nera si risvegliò per la terza volta scegliendo Gherars il Liberatore, un leader capace di  smuovere l’animo di tutti i popoli di Akasha, affinché si unissero, si organizzassero per combattere  le forze Harthaxiane, strada dopo strada, villaggio dopo villaggio, passando dalla guerriglia senza tregua nei piccoli centri, alle battaglie campali con l’imperativo di non fare ostaggi, fino a cacciare definitivamente gli invasori dalle terre di Akasha, inaugurando così una mai terminata epoca d’indipendenza delle regioni continentali dall’ingerenza di forze straniere.

4° ciclo: Carta dei 10 Fondamenti di Henosis – Anno 1215 d.c.e.
Le diversità storiche tra le popolazioni dei villaggi che componevano la nazione dello Spirito, unita all’incidenza delle tradizioni e delle leggi degli stati attigui, portò instabilità, conflitti ed incertezza giuridica all’interno della regione di Henosis. Si rese necessario riportare l’ordine nella nazione a  tutti i costi, con la forza delle armi ove la ragione della parola non fosse stata sufficiente.
La Lama Nera si risvegliò per la quarta volta, scegliendo Torvalh Hark, il Nero, capace di arrivare con il terrore ove non fosse bastata la sua autorevolezza. Colpì coloro che avevano rivendicato terre per professare credi diversi da quello dello Spirito, che si erano arrogati il diritto di possedere in esclusiva beni della Nazione o che avevano sottratto ad altri ciò che ritenevano di poter esigere arbitrariamente. Egli riportò l’ordine nelle province periferiche con ogni mezzo, per poi consentire  ad ogni villaggio di eleggere liberamente i propri rappresentanti i quali vennero riuniti in città insieme ai membri del Sinodo ed ai saggi scelti all’interno della Nazione e dell’intero continente, raccogliendo i princìpi storici di Henosis già esistenti dall’anno della Cacciata degli Eterni ed integrandoli con nuove regole che codificassero le esigenze delle genti dello Spirito e del territorio,  gettando così, attraverso i suoi 10 Fondamenti, le basi della moderna Costituzione Henosiana.

5° ciclo: L’ago della bilancia di Akasha – Anno 1585 d.c.e.
Dall’inizio del 1500, si andarono ad inasprire i rapporti tra tutte e quattro le nazioni elementali di Akasha. Nacquero fronti di tensione tra nazioni confinanti a volte per prestigio, a volte per risorse, a volte per il controllo dell’elemento vicino. Quei fronti, finivano per spostarsi in base alla mutazione degli interessi, ai rapporti di forza ed alle alleanze. Lo Spirito, che nel corso della storia era passato da una forte ingerenza ad un’ostinata neutralità, si trovò a dover assumere una politica differente e chiara affinché le contese non portassero all’eccessivo indebolimento di un elemento, minando  l’Equilibrio e la stessa sussistenza dell’intero Piano Elementale di Akasha.
La Lama Nera si risvegliò per la quinta volta nel 1585, scegliendo Midlark Veyl, il Negoziatore, abile a portarsi fino ad un passo dallo scontro militare per poi toccare le corde della ragionevolezza  tra i contendenti, arrivando ad accordare scambi territoriali per poter incuneare i propri confini nelle aree più calde (tra Aidelon e Luft, tra Tarsia e Luft), sancendo importanti accordi per il traffico nelle aree marittime (nel Morso tra Hydor e Tarsia) e per le vie di terra (litorale Hydoriano al confine di Aidelon), ponendo di fatto Henosis al centro della politica continentale. Egli si rese conto del fatto che il conflitto faceva di per sé parte dell’evoluzione di tutti gli Elementi e che il mettersi  reciprocamente alla prova consentiva ad ogni Nazione di essere pronta per proteggersi da eventuali ed imprevedibili minacce superiori. Il ruolo dello Spirito in tutto ciò diveniva ancor più delicato, in quanto avrebbe avuto la responsabilità di misurare l’entità delle azioni e dei conflitti  senza soffocarle per principio sul nascere, concedendo a tutti gli Elementi di misurarsi e crescere  senza tuttavia mettere a repentaglio la stabilità complessiva della vita nel continente. Questo, sarebbe stato il compito politico e militare di Henosis, nel corso dei tempi a venire.

6° ciclo: Restaurazione Henosiana – Anno 1930 d.c.e.
Dopo secoli trascorsi investendo la maggior parte delle proprie risorse per la gestione delle problematiche e dei conflitti tra le nazioni del continente, Henosis si trovò ad affrontare una grave crisi economica e sociale che portò a significativi disordini, in particolar modo nella città.
La Lama Nera si risvegliò per la sesta volta, scegliendo Jagler Rogh, il Restauratore, un uomo  dotato di una grande astuzia politica, pragmatico e privo di remore nell’usare la forza come prima soluzione per affrontare i problemi scomodi. Con lui, le tre grandi casate Henosiane (gli Argeal, i Roudax, i Dubrau) trovarono un potente alleato. Iniziò un secolo di grande ricchezza e rilancio commerciale per la città, ma al contempo anche di repressione e di disagio sociale. Nei confronti degli Stati vicini, il lavoro per intensificare le attività commerciali si alternò alla fermezza nelle questioni politiche. Nel corso dell’ultimo secolo del secondo millennio, il senso dell’appartenenza alla Nazione dello Spirito venne acuito tra la popolazione attraverso una  propaganda mirata, mentre l’Ordine diveniva sempre più uno strumento delle casate, attente a  scegliere i gerarchi tra i membri dal profilo più adeguato ma anche più manovrabili, fedeli e conservatori.
Berg Zeist, ultimo di questo ciclo e uomo di grande cultura, a differenza dei suoi predecessori si  mostrò indipendente e ben più vicino ai dettami originali dello Spirito rispetto alla parte politica che lo aveva inizialmente sostenuto nella sua carriera di Necromante. Sotto il suo mandato si combattè l’ultima guerra contro una provincia marittima dell’Impero di Harthax, durata meno di un anno e conclusasi con l’abbandono dei mari confinanti con il Morso degli Eterni da parte della flotta imperiale.

7° ciclo: La rinascita dell’Ordine e “la chiusura del cerchio” – Anno 2020 d.c.e.
Nel corso degli ultimi secoli, tre famiglie acquisirono un tale potere da controllare l’egemonia della città e da condizionare le gerarchie e le scelte dell’Ordine dello Spirito. Se inizialmente questa  tendenza portò benefici economici e di stabilità alla nazione, a lungo andare condusse lo Spirito ad indebolirsi, innanzi al peso di scelte politiche che diventavano sempre più determinanti rispetto alle basi del credo del Quinto Elemento, minando l’indipendenza dell’Ordine rispetto all’egemonia delle casate. Al contempo, si avvicinava il momento di una profezia, legata ad un “viaggio” che avrebbe avuto il compito per dare continuità alla storia di Akasha.
La Lama Nera si risvegliò per la settima volta, scegliendo un guerriero venuto da una terra lontana e da sempre impegnato nella lotta contro l’Impero Harthaxiano, estraneo ai giochi di potere della capitale e del continente, la cui storia aveva sfiorato le motivazioni originali dello Spirito e le vite di coloro che avrebbero dovuto intraprendere quel viaggio.  

In questo clima, si insediò ad Henosis il 267° Custode, Devesh Noxt, lo Straniero.

Alla fine del 1969, dopo quasi quarant’anni di governo di Jagler Rogh (il 263° Custode), la diseguaglianza sociale ed economica iniziò a fomentare i tumulti nelle zone portuali di Henosis.

L’antica e ricca casata dei Danan, proprietaria di locande in tutto il continente, accusò le tre casate rivali legate al Custode - gli Argeal, i Roudax, i Dubrau - di stare creando una casta di potere nell’ombra, parallela all’Ordine dello Spirito, avendo per questo violato il Settimo Fondamento senza che tuttavia vi fossero state ripercussioni.

Alla luce di ciò i Danan si posero alla testa dei rivoltosi organizzando un’adunanza presso la locanda al porto, certi di essere raggiunti anche dagli sgherri delle tre casate per la resa dei conti.
Ma alla locanda di Henosis non accadde nulla.

Quella notte, in tutto il continente, si levarono alte le fiamme che ridussero in cenere tutte le locande appartenute ai Danan, in ogni Nazione tranne ad Henosis. Nella capitale, le fiamme si levarono da un altro luogo: la residenza dei Danan. Amon Danan, corse dalla locanda fino a casa insieme ai due figli maggiori che lo avevano seguito nell’adunanza, ma non vi fu più nulla da fare per il resto della loro famiglia, arsa viva nell’incendio. Così, armati ed in preda all’ira, raggiunsero la tenuta degli Argeal. Lì, ad attenderli c’era un intero plotone di uomini dal volto coperto.. la milizia della Loggia dei Padri. Le tre casate non erano cadute nella provocazione dei Danan, come invece Amon si era aspettato, ma avevano a loro volta mosso per annientare quella che fino ad allora aveva conteso loro il titolo di famiglia più ricca della capitale. Senza che i Danan se ne potessero rendere conto, in una sola notte avevano perso ogni cosa ed erano stati contestualmente cancellati dalla faccia di Akasha. La loro agonia innanzi alla milizia durò poco, ma Reyer Argeal si premurò di far sì che Amon fosse l’ultimo a morire, guardando le sofferenze dei suoi due figli mentre venivano sgozzati da Gybrel Roudax e Fadhor Dubrau, senza poter fare più nulla.

Nel frattempo, le guardie cittadine appartenenti all’Ordine di Henosis giunsero nell’area del porto attigua alla locanda, operando decine di arresti tra gli insorti e placando così la rivolta.

Quella notte, restò nella narrazione popolare come “la Notte delle Ceneri”, cantata nel corso degli anni e ricordata come la dimostrazione di forza delle tre casate ad Henosis e nell’intero continente.

Come sfregio finale, Reyer Argeal fece esporre le teste di Amon Danan e dei suoi due figli su altrettante picche ed ordinò che i loro resti non venissero sepolti nella cripta di famiglia in quanto condannati per istigazione alla sommossa contro l’Ordine.

L’anno successivo, Jagler Rogh, molto malato, abdicò in favore di Reyer Argeal (che divenne il 264° Custode), il quale scelse Fadhor Dubrau come proprio Generale e Gybrel Roudax come Guardiano, dando vita ad un Sinodo composto dai tre membri più in vista della Loggia.

Nel trentennio seguente, il potere delle tre casate crebbe come non mai. Come crebbero l’isolamento, il nepotismo, la disuguaglianza.

Il cambiamento di facciata

All’inizio del terzo millennio dell’Era degli Uomini, dopo le morti ravvicinate di Gybrel e Fadhor, Reyer si rese conto di dover dare un’immagine più liberale di Henosis. Nel corso degli anni, le insurrezioni erano state domate con il sangue delle genti ma erano contestualmente costate la vita a due dei tre figli dei patriarca degli Argeal. La Loggia dei Padri, scelse allora di non far più ricoprire direttamente i ruoli del Sinodo dai membri delle tre casate, in modo da non esporne le famiglie. Il 265° Custode, fu infatti un gerarca scelto da tutte e tre le famiglie, il grigio figuro Pyor Loyr che si era distinto come predicatore di sottomissione. Le altre due cariche del Sinodo vennero fatte ricoprire dal Generale Lochlann, vicino alle casate Dubrau e Roudax, e dal Necromante Berg Zeist, uno studioso indicato dagli stessi Argeal per consolidare l’immagine di Henosis come capitale culturale del continente. I primogeniti di tutte e tre le casate, divennero i nuovi vertici delle famiglie e della Loggia, in due casi per la scomparsa dei genitori, in un caso per scelta dell’anziano patriarca.

Prefazione
Dopo vent’anni dalla caduta degli eterni, il Primo Custode dello Spirito e reggente di Henosis, lasciò la città per intraprendere un lungo viaggio attraverso Akasha, durante il quale egli si confrontò con le diverse scuole di pensiero, di dominio elementale e di combattimento, che ne arricchirono la conoscenza e le riflessioni. Sette anni dopo, egli si fermò tra i boschi e le montagne a Nord-Est di Fenac, ove scelse di trascorrere gli anni che gli restavano da vivere, affinando i rudimenti della sopravvivenza ed imparando l’arte della tessitura.
Riflettendo su ciò che aveva appreso durante la propria esistenza, egli raccolse il proprio pensiero in un libro dedicato ai Cinque Elementi, i cui contenuti vennero diffusi verbalmente nel corso degli anni, divenendo ispirazione di vita per le genti di Henosis e delle terre attigue, divenendo per molti la Verità dello Spirito.

In seguito a faticose ricerche avvenute nel corso di un lungo periodo di tempo, io riuscii a recuperare alcune parti originali di quel prezioso manoscritto ed a restaurarle nel tentativo di restituire il giusto decoro alla prima opera scritta che trattasse degli elementi e dello Spirito, facendone la pietra miliare attorno alla quale sarebbe stata costruita la Grande Biblioteca di Henosis.
Così, “La Croce nel Cerchio”, compendio delle regole di vita materiali e spirituali vergate da Keljon, impresse la forza necessaria affinché Henosis potesse divenire un luogo di pensiero, razionalità, riflessione, giustizia. La città della Conoscenza.

L’opera è costituita da cinque parti dedicate a Terra, Acqua, Aria, Fuoco e Spirito, nelle quali il Primo Custode descrive le virtù dei grandi maestri. In ciascuna delle prime quattro parti, sono introdotte altrettante tecniche di combattimento che egli perfezionò entrando in contatto con le caratteristiche ciascun elemento. L’ultima parte termina col compendio dei doveri, degli scopi, delle virtù e delle riflessioni di colui che ha scelto la via dello Spirito.

Nei secoli, le genti della città di Henosis ed i fedeli dello Spirito, hanno ascoltato quelle parole come un’ispirazione, allo scopo di raggiungere la consapevolezza dell’unità sublime tra gli elementi naturali e lo Spirito, ed avvicinarsi a comprendere, il significato dell’Equilibrio.

Abraham, il custode della Biblioteca

                                                                                                                                           

Da “il Tratto della Terra”

La Terra è il rifugio dall’intemperia ed il ventre da cui rinascere, è la mano fragile e tesa, pronta a donarci in misura del rispetto che le porgiamo.
Nel guerriero, nel maestro, nello spirito: la stabilità, la dedizione, la rinascita.

La tecnica del Guerriero della Terra, si fonda sull’unione totale delle proprie leve con il suolo su cui poggiano, portando a scegliere la propria guardia ed a combattere senza mutarne la natura, trovando l’equilibrio del proprio corpo nell’essenzialità e nella compattezza dei movimenti di tronco e braccia.
Tecnica di difesa e contrattacco ravvicinato, molto utile quando ci si trova limitati o impossibilitati nei movimenti degli arti inferiori. Predilige guardie solide improntate a proteggere frontalmente il tronco o le leve inferiori, come la Porta di Ferro Mezzana o la Posta Breve, mantenendo sempre un piede avanzato e conservando un assetto del tronco che assecondi le possenti spazzate, predisponendosi per scattare con colpi impropri quando l’avversario dovesse cercare di avvicinarsi eccessivamente.

Da “il Tratto dell’Acqua”

L’Acqua che scorre, quieta o impetuosa che appaia, lava il torbido dalla pelle e nel corso del suo fluire mai dimentica la sorgente dalla quale prese vita.
Nel guerriero, nel maestro, nello spirito: l’impeto, l’intuizione, la memoria.

La Tecnica del Guerriero dell’Acqua, si fonda sulla fluidità della sequenza di gesti che compongono l’azione, dalla posta iniziale all’ultimo colpo, con passi che inducono precise rotazioni, movimenti che richiamano figure, senza mai bloccare i propri movimenti, in un’ininterrotta ed armonica danza. Tecnica di duello per gli attacchi tenuti a limite di misura, basata su di un movimento continuo della spada, utile contro avversari chiusi e contratti. Predilige guardie ampie ed aperte come Coda Longa e Distesa, Reale di Vera Finestra o come la Falcone, dalle quali avviare eleganti evoluzioni e progressioni, con un passeggio schermistico potente fatto di Passate Avanti/Indietro. Cerca di evitare i blocchi di lama sfruttando le legazioni solo in accompagnamento e con maestria di polso.

Da “il Tratto dell’Aria”

L’Aria è nella comprensione del vento che con la sua forza sospinge l’uomo lungo il cammino e dei sussurri che solo al saggio possono donare ispirazione.
Nel guerriero, nel maestro, nello spirito: il respiro, l’adattamento, la purezza.

La Tecnica del Guerriero dell’Aria, si fonda sull’invito e lo spostamento dell’azione con lo scopo di rendere l’avversario inefficace, sbilanciato ed esposto, a vantaggio di rapidi attacchi rivolti alle parti che andranno via via scoprendosi, come taglienti raffiche di vento improvvise e sempre più forti. Tecnica di duello utile contro avversari molto potenti che tendono a concedere significativi tempi e spazi all’azione intermedia dell’avversario. Predilige guardie facilmente adattabili al trovar di spada o ai tagli sui bersagli avanzati, come la Breve o la Longa, con un passeggio composto da rapidi passi doppi: Mezzopasso, passi laterali, piede scaccia piede. Non cerca di affondare i singoli colpi, preferendo disturbare l’azione avversaria e cogliere ogni piccolo vantaggio per poi prevalere alla lunga.

Da “il Tratto del Fuoco”

Il Fuoco è calore ed istinto, quiete e folgore, il dono che consente alla volontà di prevalere sull’avversità, la prova che premia l’umile ed arde il superbo.
Nel guerriero, nel maestro, nello spirito: l’istinto, l’evoluzione, il coraggio.

La Tecnica del Guerriero del Fuoco, si basa sul suo obiettivo finale: l’affondo mortale; sin dall’inizio dell’incontro verrà mostrata all’avversario la punta della propria lama come ad anticipare la propria intenzione, aprendo poi varchi per spostare l’arma e l’azione dell’avversario nella posizione migliore per poterlo trafiggere senza appello. Tecnica di duello mortale, che ha lo scopo di resistere agli attacchi avversari fino a crearsi lo spazio e ritagliarsi il tempo per un’unica e letale stoccata. Nasce da poste di punta pronunciate, come la Longa, la Reale o la Stanca di Vera Finestra, con punta diretta verso gli occhi dell’avversario. Il passo cruciale rientra nella famiglia degli affondo, cercato con perseveranza e portato con implacabile determinazione non appena l’avversario si trovasse a concedere un tempo nella posizione desiderata.

Da “il Cerchio dello Spirito”

L’unità. Non solo tra i Quattro, ma tra gli aspetti contrastanti di ciascuno di essi, affinché l’umano possa rivelarsi quale massima espressione dell’esistenza. Il Guerriero e Maestro dello Spirito: l’Equilibrio.

La Tecnica dello Spirito, sta nel padroneggiare le Quattro Tecniche degli elementi e nel saper passare all’occorrenza da una all’altra nel corso dello stesso incontro, comprendendo l’essenza, la forza, la fragilità di ciascuna tecnica ed usando questa conoscenza a proprio vantaggio, imparando a trasformarsi in base alla percezione dell’avversario, dello spazio e del momento.
Il tutto ciò, la Tecnica dello Spirito si rivela nell’indole di chi la mette in pratica: totale quiete emozionale, al contempo totale connessione con il proprio avversario. Nulla turba le scelte di chi si appresta a praticare questa tecnica, poiché non v’è più luce o tenebra, ma solo il tangibile sentiero dell’Equilibrio che in quel preciso istante si rivela in modo chiaro ed ineluttabile alla volontà Guerriero.

In quella pace interiore, in quel contatto con chi si ha davanti, v’è una rivelazione: la Tecnica dello Spirito è applicabile solo contro un avversario di cui si abbia una forte considerazione, come storia, come entità, come combattente. Ancor meglio, se si realizzano tutte e tre le cose insieme: la Tecnica dello Spirito non può essere dunque messa in pratica contro chiunque, al contrario deve nascere dalla profonda ispirazione che raramente un avversario è in grado di comunicare.


La Tecnica dello Spirito, è prima di tutto un combattimento con se stessi.


1. “Accetta l’esistenza e costruisci il tuo cambiamento”
L’esistenza parla un linguaggio che non può essere cambiato, tesse un arazzo il cui ordito non può essere interrotto. Solo accettando le regole immutabili poste dalla realtà, l’uomo potrà vivere in armonia con se stesso ed evolvere in essa. Solo attraverso l’umiltà, la conoscenza, la volontà e la disciplina, egli sarà allora in grado di imparare il linguaggio dell’Esistenza per poter dialogare con essa, di apprendere come irrobustire i fili di cui disporrà per poterne proseguirne la trama, definendo un tratto, arricchendo un motivo.
Ogni nuovo tratto inserito con ordine nell’arazzo, segna un cambiamento.
L’intera Storia è Cambiamento.

2. “Guarda a te stesso con leggerezza, osserva il mondo con profondità”
Focalizzare l’attenzione su se stessi, allontana dal mondo portando all’insicurezza. E’ fondamentale imparare a tutelare la propria identità mantenendo tuttavia la mente aperta alla conoscenza insita nel confronto, alla ricchezza offerta dalle diversità.

3. “Non servire un’ossessione”
La brama di coronare ad ogni costo un desiderio, è il salto in un abisso senza fondo. Chi fa della propria esistenza un mezzo per ottenere un risultato, diviene vittima della frustrazione. Solo imparando a rinunciare, ci è possibile raggiungere la pace.

4. “Non dispiacerti delle tue scelte”
Ogni libero atto di volontà, che porti successi o insuccessi, è frutto del nostro pensiero. Un’azione che abbia avuto un esito negativo è in grado di insegnare, a chi sia disposto a prendersi la responsabilità dei propri gesti ed a confrontarsi con essi.

5. “Non lasciare che una separazione ti rattristi”
Il nostro sentiero è costellato di incontri il cui futuro non ci appartiene. Essi ci permettono di conoscere meglio noi stessi ed il mondo. E’ importante essere grati per ciò che ci hanno dato e non v’è separazione che possa cancellarne la ricchezza.

6. “Non possedere più di quanto sia necessario”
L’accumulo di beni materiali limita la libertà con cui ciascuno si affaccia alla vita. Liberarsi di ciò che non ci serve più, rende più forti e più flessibili. Soprattutto ci rende pronti per quanto dovrà arrivare, senza essere schiavi di ciò che possediamo.

7. “Non agire seguendo convinzioni che non ti appartengono”
Credere nelle proprie capacità di giudizio, ci rende capaci di esprimere un pensiero critico. Far rispettare i propri valori accogliendo il confronto, definisce una crescita senza mai accettare che siano altri a stabilire un canone per la nostra condotta.

8. “Non temere la morte”
Un evento inevitabile, la morte è conseguenza della vita. Averne paura sarebbe come se il sole temesse di calare all’orizzonte: ogni aurora sa che dovrà tramontare. Ciò che importa è vivere con intensità e consapevolezza ogni giorno che ci è concesso.

9. “Percorri il sentiero dell’equilibrio con i mezzi della ragione”
Gli strumenti della ragione ci condurranno a riconoscere l’iniquità ed a comprendere la giustizia. La riflessione, la lotta, il sacrificio: ogni azione orientata all’equilibrio, per quanto difficile da accettare, è alla lunga destinata a nutrire l’intero genere umano.

10. “Lotta sempre e solo per l’equilibrio.”
Dallo scontro, le genti traggono la motivazione per divenire più forti ed essere pronte a difendere l’integrità delle loro terre e del loro credo dalle minacce di domani. E’ tuttavia raro che con la consapevolezza della forza raggiunta non aumenti anche la brama di potere. Ogni civiltà sorta sulle rovine della precedente, tende ad intraprendere le stesse scorciatoie, a commettere analoghe ingiustizie, a perpetrare i medesimi soprusi. Per quanto l’armonia possa essere raggiunta attraverso la disciplina personale e la riflessione, non vi sarà pace in essa se non si sarà fatto il possibile per impedire la prevaricazione, l’iniquità, la tirannia. La pace nell’Esistenza non è sinonimo di immobilità: la pace è data dall’equilibrio delle forze. Colui che abbia liberamente scelto la strada dell'equilibrio, sarà chiamato ad osservare ciò che lo circonda ed a fare quanto in suo potere affinché non vi sia una forza che prevalga sulle altre. Con la mente, il cuore, l’acciaio. Il Maestro, lotterà e non conoscerà umane vittorie: poichè non porterà se stesso a sedere su di un trono, non estenderà i confini delle proprie terre a scapito d’altri, non brucerà bandiere, non sottometterà genti, non annichilirà popoli.
Egli lotterà per l’Equilibrio. Egli, conoscerà la pace.

 Kain Imhotep fu riconosciuto come la Quarta Fenice Virtuosa, quella del Sacrificio: fu uomo della Fiamma e discendente della grande famiglia degli Imhotep, proveniente dal ramo Militare ed asceso ai vertici della Congrega in un momento topico della storia del Dhulasar. Eletto Dhu’l dal Fuoco stesso nel 1585 d.c.e. ,poco dopo la sua nomina si ritrovò infatti coinvolto in incidente diplomatico: venne trovato morto un ambasciatore Luftiano invitato alla fortezza delle Fiamme per discutere delle pesanti schermaglie che imperversavano tra Tarsia ed Hydor attraverso le coste del Morso degli Eterni -cosa che faceva gola ad entrambe le fazioni di Fuoco e Aria, aprendo la possibilità di allargare i propri confini sfruttando la situazione. L’Assassinio del diplomatico fece accendere la miccia di Luft che preparò immediatamente i suoi Barbari e gli Arcani dell'Illusione per scendere in campo senza parlamentare, presagendo una trappola di Aidelon in combutta con altri elementi; Kain, grazie alla sua scaltrezza, tergiversò lo scontro spostando l'attenzione altrui su un campo di battaglia centrale alla Scacchiera di Akasha (tra i villaggi di Fenac ed Agrivir) e fuori dal Dhulasar, forte del fatto che lo Spirito fosse impegnato a risolvere la suddetta schermaglia tra il Nord e l'Ovest. Mentre le forze dell'Aria invadevano quindi a loro volta il territorio dello Spirito e discendevano lungo il Lympha Alba, attaccando poi a sud di esso, Kain imbastiva una guerra di trincea logorante opponendosi senza mai avanzare – anzi, investendo uomini e mezzi per organizzare ritirate controllate fino al rientro nei confini del Dhulasar. Ci vollero mesi per far comprendere all'Aria che, nel frattempo, Kain aveva fatto erigere un gigantesco muro che avrebbe bloccato le incursioni Barbariche sui confini Nord-Est del Dhulasar - sancendo un doppio impedimento sia per sè che per gli altri ma, di fatto, mettendo fine a quella guerra che avrebbe macinato ancor più vittime se combattuta per conquista e non per far perdurare uno stallo su territorio di terzi. La Nazione dell'Aria, lo battezzò "Wallo" - muro, in lingua Luftiana antica. Il tempo impiegato per la costruzione, mentre gli uomini della Fiamma perivano nelle pianure tra Dhulasar e territori dello Spirito, rappresentò appieno cos'è un sacrificio per un futuro migliore. Vi fu un processo da parte dello Spirito, presieduto da Midlark Veyl il Negoziatore, che vide l'assoluzione della nazione del Fuoco dall'Omicidio dell'Ambasciatore Luftiano per mancanza di prove; alcuni sospetti ricaddero su Hydor o su agenti esterni -forse servi dell'antico culto dei Dieci- ma nulla potè essere dimostrato ed in seguito fu firmato un trattato di pace -ancora in essere- che vedeva lo Spirito cedere una piccola fetta del proprio territorio a Sud del Lympha Alba in cambio della possibilità di rimanere pesantemente incuneato tra Luft e Aidelon, a ridosso del Wallo di Kain che le Livree ed i Necromanti continuarono a sorvegliare. Persino oggi che il Wallo è solo un ricordo decaduto di ciò che era un tempo, persino oggi che non vi sono guerre tra Luftiani ed Aideloniani da quasi 500 anni. Fu infatti questa, conclusa da Kain il Difensore, l’ultima vera grande schermaglia tra Aria e Fuoco… ma la storia dell’Uomo che discendeva da coloro che forgiarono per primi l’Accaio Imhotep si conclude con una vera e propria Leggenda: all’approssimarsi della sua morte, per semplice vecchiaia, egli aveva fatto chiamare i migliori Alchimisti ed i Fabbri della Nazione per far sì che il suo trapasso donasse ancora qualcosa ai posteri. Il procedimento è andato perduto nei secoli, la tradizione orale discorda sulle modalità di forgiatura ed ancor di più sui passaggi alchemichi salvo concordare che furono utilizzare le Ceneri di Kain stesso sia per il Metallo che per il Rito, ma ciò che è giunto oggi a noi, per certo, è una Scimitarra senza eguali nel continente: la Dhul-Fiqar. Indistruttibile, inossidabile, impareggiabile, viene consegnata ad ogni nuovo Dhu’l o Dhat proveniente dal Ramo Militare come simbolo assoluto di comando. Egli/ella, può scegliere se assegnarla ad un sottoposto che abbia raggiunto almeno il grado di Iblis: come prova di fiducia nel caso ambisse alla posizione di Campione del Deserto, come riconoscimento onorifico qualora già occupasse tale posizione, come simbolo per guidare le armate in battaglia per conto della Fenice stessa.

 Kongol Hariq fu colui che incarnò l’Orgoglio: nel 962 d.c.e. Akasha fu invasa dall’Impero Harthaxiano ed Aidelon subì l’offensiva più impattante, essendo l’approdo di Bilqasaf il più semplice da raggiungere e la rotta verso di esso la più diretta da percorrere, per gli invasori. Essi marciarono su Aidelon (da Sud) e riuscirono persino a farla capitolare nel Primo giorno del Sesto Mese, obbligando Kongol ad attuare una strategia di ritirata verso Afarit per riunire le proprie forze e rendere efficienti gli sforzi congiunti dei Quattro Elementi insieme allo Spirito. Nella Roccaforte delle Fiamme, invasa e occupata dagli stranieri, il Fuoco Eterno creato dai tre Draghi stava per spegnersi ed estinguersi, parimenti alle sbaragliate forze del Dhulasar; Kongol manovrò per stringere alleanze e per innalzare lo stato mentale delle sue truppe, tenendo nel frattempo gli uomini a riposo e concentrati per la vendetta, senza vizi di sorta, senza sfoghi di rabbia e a digiuno per la gran parte del giorno data la scarsità di risorse. Il tutto durò quasi un intero mese. Da Alchimista qual era, in questo periodo lavorò per mettere a punto anche una formula che potesse eguagliare il Fuoco Eterno dei Draghi, spingendo contestualmente sulla produzione di tanta polvere pirica come non se n’era mai vista sul continente. Attendeva il momento giusto, l’apice Solare dell’anno, per far sì che l’Elemento fosse al massimo della sua forza… ed i suoi uomini, purificati dalle settimane di privazioni, fossero incredibilmente temprati e volenterosi di riprendersi la loro terra, le loro case, le loro vite.

Il giorno del Solstizio d’Estate, tutto ciò che rimaneva dell’Armata Rossa, insieme agli Alleati di Terra, Spirito, Aria ed Acqua, marciò su Aidelon e convergé in una manovra a tenaglia sul porto di Bilqasaf con ogni Nave rimasta. Nessuna Fiamma eguagliò mai quella che illuminò quella notte: esplosioni squarciarono la terra ed il cielo, il Fuoco camminò sull’Acqua dei mari innanzi alla Costa d’Oro e alla Costa del Sole, la Capitale del Sud vide le sue stesse mura smembrate dai suoi figli, espugnate per riprendere ciò che era sempre stato -loro-, la Città Ardente. Il nemico fu scacciato, Akasha fu difesa grazie agli sforzi congiunti di tutti; evento più unico che raro, ma che mostrò al mondo che nessuno straniero poteva piegare il Fuoco, l’Aria, l’Acqua, la Terra e lo Spirito, quando si riuniscono sotto un solo vessillo. 

Kongol stesso perì durante l’ultimo attacco, facendosi esplodere nel salone della Fortezza delle Fiamme per portare con sé il Generale Harthaxiano che tentava la fuga. Si dice che sorrise, con Orgoglio, pronunciando le sue ultime parole prima di lanciarsi contro il suo rivale:

“Non è mai finita. Non vi è cenere che non sogni ancora le carezze del Fuoco.”

La Polvere Pirica che aveva addosso, assieme al preparato che aveva messo a punto per far riprendere il Fuoco Eterno, ravvivò il Fuoco Sacro all’interno del Salone così intensamente che ancora oggi, esso, non ha mai dato segni di debolezza alcuna. Da quel giorno, ogni anno, viene celebrato l’Hariq in onore di Kongol del Fuoco Sacro: un periodo di meditazione e repressione degli istinti, di privazioni e di quiete parimenti a quelli della Cenere quasi inerte… ma che non aspetta altro che tornare a bruciare più intensamente di prima.

Ben 299 Fenici si sono succedute dalla nascita della Setta di Kalime durante l’Era dell’Oblio fino al nostro tempo, la maggior parte delle quali provenienti dal ramo Mistico dei Djinn. Ultima di queste, colei che risponde al nome di Ishtar Attajira. Ricorrenti, nella simbologia e come concetti del Dhulasar del Fuoco, sono la lettera -K- ed il numero 5, indicato come “V” o espresso tramite Pentacolo. Ma, soprattutto, la parola “PIROS”. Acronimo delle iniziali di: Passione, Istinto, Rinascita, Orgoglio, Sacrificio.

● Passione: il Fuoco è il primo nato dall’amore di Selyn ed Ehlias e come l’ardore di un amore appena sbocciato è istintivo, passionale, umorale. Un membro della congrega abbraccia le proprie passioni senza reprimerle. La sincerità è apprezzata come segno distintivo e la passione in ciò che si compie è stimata come segno di benevolenza da parte del Fuoco.

● Istinto: il Fuoco attecchisce laddove ha anche la minima possibilità di nascere, quando ogni occasione è ideale per far sì che anche delle braci inerti ritornino a bruciare con forza e vigore. La via più semplice è spesso quella che porta più risultati, non bisogna indugiare mai laddove ci sia una possibilità.

● Rinascita: il Fuoco non viene mai del tutto estinto. Finchè c’è fumo c’è speranza, finchè qualcosa può innescare una Fiamma, non ci sarà vera sconfitta. Il Fuoco può trascendere la morte, può andare oltre i limiti umani, può far tornare vivo qualcosa che era creduto morto.

● Orgoglio: il Fuoco danza e balla nelle ombre della notte. Le rischiara quando esse sono troppo penetranti per poter vedere chiaramente e viceversa ne gode, invece, con ciò che rimane di un falò che col suo solo calore riesce a far sentire la propria presenza. Il Fuoco non è mai sconfittto, s’erge a testa alta di fronte ad ogni possibile disfatta, sempre pronto a divampare nuovamente.

● Sacrificio: Il Fuoco arde consumando legna, carbone ed ogni cosa lo alimenti. Per questo i seguaci del Fuoco accettano il Sacrificio come parte del loro percorso di Congrega e come tributo al Fuoco stesso. Che sia un sacrificio simbolico o tangibile, ciò che Alimenta il Fuoco è di fondamentale importanza ed i membri della Congrega lo sanno.

Queste sono chiamate “le Virtù Ardenti” e sono i cardini di un uomo o donna di Valore all’interno della Congrega; tutti dovrebbero cercare di incarnare ognuno di questi aspetti per far risplendere maggiormente la propria Fiamma interiore.

Eppure, nei secoli, si sono avvicendati personaggi che più di altri hanno portato al suo massimo potenziale uno di questi concetti. Una Divinatrice delle Fiamme di cui si è perduto il nome, nei primi anni dopo la Caduta degli Dei, guardò nel suo Alantir e profetizzò in punto di morte che il Fuoco avrebbe arso come non mai, se 5 Fenici avessero mostrato appieno una delle virtù Ardenti.

"Quando ognuno dei cinque pilastri cardine si sarà incarnato, allora il Fuoco più puro ascenderà"

Alcuni lo interpretano come un grande sconvolgimento della tradizione Aideloniana, la fine di un’era che necessiterà di rinnovamento; altri come ciò che anticiperà l’arrivo di una Sesta Fenice che riuscirà davvero ad incarnare tutte le Virtù Ardenti e si eleverà trascendendo la Fiamma stessa, altri ancora come la riuscita dell’ultima egemonia del Fuoco su tutto il continente – la sua conquista finale.

Di queste Cinque Fenici profetizzate, sembrerebbe che ne siano già apparse Quattro.

- Kalime fu la prima, verso la fine dell’Era dell’Oblio, riconosciuta universalmente come colei che incarnò la virtù della Rinascita. Il sapersi rialzare, sempre, senza mai arrendersi; ma anche il sapersi trasformare o… risorgere, fisicamente. Lei, vi riuscì due volte prima di spirare lasciando una speranza ed un messaggio per le genti di Aidelon. Proveniva dal ramo Magico.

- Kira fu indubbiamente la Fenice della Passione, bruciando il firmamento nell’Anno 478 d.c.e. La sua storia, il suo amore trasformato poi in odio, sono l’emblema di ciò che l’ardore del sentimento più infiammante può portare a fare. Nella conquista schiacciante, come nella disfatta totale. (Vedere nel Documento “La Guerra delle due Rose” presso la Biblioteca). Anch’ella, proveniva dal ramo Magico della Congrega.

- Kongol fu colui che incarnò l’Orgoglio: nel 962 d.c.e. perse e riconquistò Aidelon sotto i colpi dell’Impero Harthaxiano; a lui si deve la tradizione dell’Hariq e la formula del Fuoco Eterno. Alchimista, proveniva dal Ramo Mistico della Congrega; le sue gesta sono raccontate nel tomo “Il Fuoco Sacro”.

- Kain, invece, rappresentò appieno il Sacrificio. A lui dobbiamo la duratura pace con Luft, il Wallo a NordEst del Dhulasar e la nascita della Dhul-Fiqar: le sue gesta, datate attorno al 1585 d.c.e. , sono raccontate nel tomo “Il Wallo di Kain”. Proveniva dal Ramo Militare della Congrega.

Da notare come ognuna di esse, le Fenici, portava un nome che iniziava per -K- e, ciò, ha dato adito a molti miti e leggende; fin dall’Era dell’Oblio essa è infatti un simbolo, inizialmente di rivolta nei confronti di Shair Vaith - colui che teneva Aidelon in suo pugno per conto degli Dei. La K ricordava la defunta Kalime ed era stata dipinta con la Cenere e col Sangue sui muri del Chiostro e della Città, infastidendo lo Shair che aveva subito cercato di reprimere il sentimento di ribellione soffocandolo con la violemnza. Poi, fu la -K- della famiglia Kadmon (Ambers e Dramor) ad essere una spina nel fianco per lui e per gli Eterni, passando negli anni attraverso Kira, Kongol e Kain. E’ dunque una lettera molto presente nei nomi e nei cognomi Aideloniani, ascendente (in maniera simbolica) di persone carismatiche o predestinate a ruoli di potere e prestigio. Nomi altisonanti, di famiglie che sono giunte fino ad oggi e la cui origine è descritta nei documenti dell’Era dell’Oblio, sono proprio quelli dei Kadmon (Guerrieri), degli Attajira (Mercanti ed Arcani), dei Kehoe (Fattori, Arcieri e Cacciatori), degli Imhotep (Alchimisti e Artigiani), dei Kalime (molte famiglie di ogni estrazione sociale assunsero tale cognome, dopo la sua scomparsa), degli Al'Hammad (Divinatori, Chiromanti), dei Kadir (Predicatori ed Erboristi, imparentati con gli Attajira da secoli), degli Al-Salam e dei Sahiyd (Navigatori, Ladri), dei Sandfire (imparentati con la Prima Eletta del Fuoco, Katherine) e dei Raizen (Guardie e Mercenari di lunga tradizione). Un'antica discendenza, seppur sparuta, porta ancora il nome dei Vaith e ritaglia il suo spazio tra Mercanti e Navigatori del Sud; in tempi "recenti" è invece apparsa la dinastia dei Nar'Sehk, il cui cognome sembra essere una storpiatura di Narsek. Dicerie sostengono che fosse un uomo dell'Isola di Brumenart e che qualcosa di Oscuro si celava nella sua storia, nel suo seme, nella sua discendenza giunta appunto solo nell'ultimo secolo sul continente di Akasha.

Al giorno d’oggi, quindi, Quattro Fenici sono già state riconosciute come Pilastri fondamentali (Kalime la Prima Fenice, Kira la Rosa del Deserto, Kongol del Fuoco Sacro, Kain il Difensore e creatore del Wallo) e le voci vogliono che "la quinta Fenice", quella dell'Istinto, sarà un'altra -K-; colei che porterà il Fuoco a dominare su tutto, o che lo condurrà ad un cambiamento epocale. Non si sa chi o quando essa sorgerà, ma la gente del Sud si attacca a questa speranza per credere in un domani ancor più prospero e splendente per la fiamma imperitura.

Erbe, pietre e preparati alchemici

IMPORTANTE: le informazioni qui riportate hanno il solo fine di dare spunti di gioco. Non costituiscono né prescrizione né consiglio medico. Non sussiste alcuna garanzia che le informazioni riportate siano accurate, corrette o precise e molte sono state modificate per essere adattate al gioco. Nulla può essere interpretato come un tentativo di offrire un'opinione medica o coinvolta nella pratica della medicina. Lo staff di MoA non fornisce consigli medici.

 

Erbe generiche

Totale: 15 presenti in linea di massima in tutti i territori ad eccezione di Aidelon data la sua conformazione desertico-rocciosa

• Acacia dealbata



Descrizione: altresì detta mimosa, tale tipologia di acacia cresce in qualsiasi habitat, purchè l'altitudine non superi i 700 metri e vi siano le condizioni per un clima sufficientemente mite (presenza di laghi, nel nord). La pianta può raggiungere anche grandezze considerevoli. Le foglie sono composte da tante foglioline poste perpendicolarmente alla nervatura principale; l’infiorescenza è composta da un insieme di capolini globosi, di colore giallo nelle forme più comuni, da cui si dipartono numerosi stami.

Utilizzo erboristico - officinale: l'acacia dealbata è indicata nelle diete, perché riduce il senso di fame e diminuisce l’assorbimento dei grassi. Un decotto di mimosa potrebbe essere utile contro diarrea, nausea e malattie veneree. Il miele è un antinfiammatorio per la gola, viene utilizzato per le patologie dell'apparato digerente; disintossicante del fegato, viene altresì impiegato contro l'acidità di stomaco.

Controindicazioni: nessuna.

Utilizzo magico:
- La resina essiccata può essere bruciata come un incenso.
- Le foglie e il legno possono essere messi in infuso per creare acqua sacra, purificatrice da energie malevoli.
- Bruciarne dei fiori nella camera da letto previene e allontana il malocchio.
- Portare dell’Acacia su di sé consente di tenere lontane le influenze negative.
- Più in generale si utilizza per gli incantesimi d’amore e di accrescimento economico.
- E' tradizionalmente associata al Sole, pianta sacra al Dio Helìas.

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Un cristallo è un oggetto solido; ha forma geometrica definita e proprietà fisiche e chimiche dipendenti dal suo orientamento nello spazio. Ogni cristallo è dotato di una sua specifica Energia, così come la immagazzina, assorbe e dirige determinate altre Energie da utilizzare nella pratica della magia. Pietre e cristalli servono per creare amuleti, officiare particolari rituali, potenziare filtri magici. L'abbinamento tra erbe magiche e cristalli sortisce solitamente effetti maggiori rispetto al loro utilizzo singolo.

Tutti i cristalli sono associati ad un Elemento e, per tanto, vengono considerati territorio-specifici. Gli esponenti della Congrega della Terra, considerato come l'Elemento Terra sia comunque connesso a tutte le pietre in generale, vengono ritenuti i massimi conoscitori di ogni tipologia di cristallo e, contrariamente ai membri di altre congreghe, i Tarsiani congregati detengono sapienza anche di quelle pietre connesse ad altri Elementi.

Quando è necessario recuperare una pietra al di fuori del proprio territorio, è obbligatorio svolgere la relativa giocata cercando, laddove possibile, di interagire con i personaggi autoctoni di quello specifico territorio. Se il cristallo rientrasse a far parte del territorio di residenza, la giocata di recupero (ricerca o compravendita on-game al mercato) può essere facoltativa.

I cristalli, prima dell'utilizzo vanno puliti, purificati e caricati seguendo dei rituali ben specifici:
- il metodo più semplice di tutti è l'esposizione diretta alla luce solare o a quella lunare, secondo la tipologia di cristallo. Il tempo di esposizione ovviamente dipende dalla grandezza della pietra e dal suo livello di "sporcizia". Il minimo è uno o due giorni per quelle piccoline; una settimana rappresenta l'ideale per qualsiasi pietra.
- altri metodi, consistono nell'esporre la pietra all'Elemento che la caratterizza: un cristallo di Terra, può essere purificato sotterrandolo; uno d'Acqua si può immergere nell'acqua purché questa sia corrente (fiume, lago, mare); un cristallo connesso all'Elemento Aria può essere esposto a corrente d'aria continua e, invece, una pietra connessa all'Elemento Fuoco dovrà riscaldarsi al calore di una fiamma. I tempi sono sempre variabili e dipendono dalla grandezza della pietra e dal suo grado di contaminazione.

Ecco l'elenco di pietre e cristalli, suddivisi per territorio di appartenenza:

Henosis

Totale: 5

• Ambra
Pianeta - Sole
Elemento - Spirito

ambra1y


- Poiché l'ambra, a differenza delle pietre preziose, è calda al tocco e spesso contiene frammenti d'insetti, viene considerata in possesso di vita propria.
- Questo è il «quinto elemento» che governa e collega assieme la Terra, l'Aria, il Fuoco e l'Acqua e, in un certo senso, ne è la fonte originaria.
- Le collane d'ambra sono forse gli strumenti piú usati in magia e, indossate, sono protettive. Sono amuleti potenti contro le magie negative.

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ATTENZIONE: il presente documento diverrà valido a tutti gli effetti al termine della fase di Alpha-test quando si aprirà al gioco congregale.

Le seguenti ricette sono pubblicate a titolo esemplificativo e fanno riferimento a preparati alchemici che contengono ingredienti rari e difficili da reperire poiché appartenenti a creature magiche e mitologiche. Si ricorda che lo staff di MoA incoraggia e premia la creazione di altre ricette (anche con ingredienti più semplici).

Salamandra oscura

Connessione elementale = Fuoco o Spirito
Patrocinio congregale = Congrega del Fuoco e Congrega dello Spirito
Caratteristiche del preparato = Pozione fumogena di colore nero e dal caratteristico odore di bruciato.
Ingredienti = la coda del Dragone delle Sabbie (ottenibile in quest con l'ausilio del Fato), fiore di mandragora (ottenibile in giocata libera presso la Selva Oscura), carbone ottenuto da Ontano bruciato, pietre di citrino ed ematite
Strumentazione = calderone e focolare
Preparazione = porre il calderone, vuoto, sopra il focolare acceso ed inserire la coda di Dragone (1° turno); aggiungere il fiore di mandragora e frantumare il carbone d'ontano, lasciandolo ricadere all'interno con gli altri ingredienti (2° turno); formare un cerchio di citrino intorno al focolare in modo che la luce sprigionata dalle fiamme si rifletta nelle pietre (3° turno); aggiungere una pietra di ematite all'interno del calderone (4° turno); sfregare due pietre al di sopra del calderone, formando una scintilla che ricadrà appena sotto. Il materiale utilizzato prenderà fuoco e dal calderone si innalzerà un fumo denso, scuro, come una nera nebbia palpabile (5° turno). Togliere il tappo ad un'ampolla di vetro trasparente e protenderla verso il fumo; esso inizierà ad entrare nel contenitore come se ne fosse risucchiato (6° turno).

Formula magica
Nasci tra le ombre della sera
dal grembo della fiamma divina
feroce come un'orrenda fiera
fuoco, con me cammina


Modalità di conservazione = avere cura dell'ampolla di vetro che contiente il preparato e parlarci insieme di tanto in tanto. La validità della pozione non ha limiti di tempo.
Modalità di utilizzo = togliere il tappo all'ampolla o romperla.
Effetti = dal contenitore uscirà dapprima la densa nebbia nera di cui sopra. Essa prenderà la forma di una piccola creatura antropormofica per quanto non siano distinguibili particolari lineamenti. La creatura sarà formata da fuoco totalmente nero, in grado di causare bruciature su qualsivoglia materiale/ustioni di primo grado sulla pelle umana in un'area di 2 metri quadrati attorno ad essa. Le caratteristiche di una salamandra si coniugano con un'indole dedita a creare caos, scompiglio e danni senza apparente criterio. E' possibile che la salmandra oscura possa esaudire/ascoltare il proprio creatore ma solo ed esclusivamente se quest'ultimo ha speso molto tempo a parlare dolcemente con l'ampolla che custodiva lo spirito.

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Vita negli Abissi

Connessione Elementale = Acqua/Spirito
Patrocinio congregale = Congrega dell’Acqua
Caratteristiche del preparato = pietra di colore azzurro brillante, che nell'oscurità sprigiona una luce in grado d'illuminare la via del possessore e rivelare segreti nascosti, con la stessa luminescenza di un Fuoco Fatuo (durata max : 3 turni). In caso di pericolo imminente la pietra emetterà una lievissima vibrazione. E' in grado di curare ferite sia lievi, che di media e grave entità, tuttavia con un costo elevato: mentre si rimargina una ferita, il suo possessore perderà alcuni giorni di vita, prosciugando la sua linfa vitale e, sul momento, stremandolo.

Ferita lieve = i sintomi, per chi esercita la cura sul ferito, saranno di spossatezza, emicrania, difficoltà a stare in piedi per due turni
Ferita Media = i sintomi, per chi esercita la cura sul ferito, saranno di spossatezza, forte emicrania, difficoltà d'equilibrio, fino alla fine della giocata. Qualche ciocca di capelli andrà incontro a temporaneo ingrigire e il senso di stanchezza perdurerà nei due giorni successivi.
Ferita Grave = fino al termine della giocata e, successivamente, per una settimana, chi esercita la cura sul ferito, sarà completamente debilitato. Avvertirà una stanchezza in tutto il corpo da cui farà fatica a riprendersi. Una ciocca di capelli diverrà bianca in maniera permanente e compariranno delle rughe sul viso o si accentueranno quelle già presenti

Ingredienti = Polvere di Fuoco Fatuo (ottenibile in quest in presenza del master), 1 Azzurrite di grandi dimensioni, 1 Baffo di Lince acquatica (ottenibile in quest in presenza del master), Alga Hydoris, 7 foglie di salvia essiccata e triturata in polvere, Corteccia di Pino e legno di Ontano
Strumentazione = Calderone, mortaio e pestello
Preparazione = Mettere il calderone a bollire, con dell'acqua, accendendo sotto di esso, un fuoco fatto con Corteccia di Pino e legno di Ontano (1° turno); mettere nel mortaio le foglie di salvia, l'alga Hydorys e il baffo di Lince Acquatica spezzettato, riducendoli in polvere (2° turno); una volta che l'acqua bolle, immergere al suo interno la pietra di Azzurrite (3° turno); solo dopo aver messo la pietra nel calderone, versare all'interno la polvere con l'alga, la salvia e il baffo di lince (4° turno); quando il fuoco sarà al suo picco massimo, ardendo la legna di Ontano e la corteccia di pino, versare all'interno del calderone anche la Polvere di Fuoco Fatuo pronunciando la formula e lasciare il tutto, finchè l'acqua non si sarà del tutto consumata, assorbita dalla pietra (5° turno).

Formula magica
Fiamma che dell'acqua ti nutri,

risorgi dalle ceneri esauste.

Scorri piena e lega la vita a una catena

Modalità di conservazione = fare attenzione a che la pietra non subisca urti troppo violenti. Nello scheggiarsi, i suoi effetti potrebbero subire variazioni (a discrezione del master)
Modalità di utilizzo = toccare la pietra e recitare la breve formula magica per indirizzarne l’energia e quindi lo scopo, se di illuminazione o curativo. Quest’ultimo avviene se la pietra viene appoggiata sulla ferita da medicare.

Lucem = Per attivarne la luce
Fa che l'acqua scorra nelle vene e doni il suo sollievo = per curare le ferite

Effetti
- Bonus: avverte di possibili pericoli imminenti (a discrezione del master); fornisce una luce magica (max 3 turni) e cura ferite altrui, tramite contatto, secondo i parametri sopra menzionati.
- Malus: quando viene utilizzata per scopi curativi, la pietra si nutre direttamente della vita del suo possessore, sfiancandolo e prosciugandolo di ogni forza secondo i parametri sopramenzionati. I suoi poteri saranno comunque soggetti a dissiparsi nel tempo (max 7 utilizzi in totale, di cui al massimo 3 per ferite gravi)

NB. Il possessore non può curarsi le proprie ferite da solo o finirebbe per morire prosciugato dalla pietra stessa, diventandone parte con il suo stesso spirito.

NB(2). Gli effetti della Pietra possono essere implementati tramite un oggetto artigianale appropriato.

 

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Bestiario

I seguenti animali sono disponibili per l'incantesimo di incarnazione elementale:

Terra




• Scoiattolo ∼ la sua lunghezza varia da 35-45 centimetri, di cui 15-20 centimetri di coda. Pesa all'incirca da 230 - 450 g. Ha un corpo agile, slanciato e abile nell'arrampicarsi sugli alberi. La testa è ben distinta dal tronco, gli occhi sono scuri,tondi e ben adattati anche alla vista in condizioni di semioscurità. Ha due orecchie che hanno sulla punta lunghi ciuffi di peli. La colorazione del pelo è molto variabile e va dal rossiccio al marrone scuro o quasi grigio. La pelliccia è corta e ruvida, ma è lunga e morbida sulla coda. I suoi arti inferiori sono molto potenti e corti con dita dotate di unghie appuntite, robuste e ricurve che gli consentono di arrampicarsi con agilità sui tronchi, di muoversi con velocità tra i rami e gli permettono di fare dei salti molto lunghi (2-4 metri). Lo scoiattolo mangia nocciole, funghi, noci e pinoli. Mentre mangia si aiuta con le zampette anteriori a tenere il cibo e con i suoi minuscoli incisivi scortica la buccia dei semi o della frutta (sia fresca che secca) che poi ingerisce.

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golem



Altri nomi: mangia-pietre

Si tratta di una creatura antropomorfica composta interamente di rocce, possente e dall'altezza ragguardevole (sfiora i 4 metri circa). Nelle storie che si narrano davanti al focolare, si racconta che i golem fossero gnomi - almeno all'alba dei tempi - gnomi che andarono incontro all'ira degli Eterni ed ad un'Energia malevola che li trasformò in orrendi mostra di roccia, condannati a nutrirsi di pietre e a combattersi tra loro tra le pendici della Fortezza dei Lupi. A loro si imputano alcune frane accorse nel famigerato massiccio montuoso del Nord.

Forza: 11
Destrezza: 1
Mana: 1
Poteri magici: nessuno
Proprietà alchemiche:
- il cuore del Golem sembra essere formato da una pietra luminescente ed azzurrognola. Si crede che, a partire da essa, si possa sintetizzare un elisir di lunga vita in grado di conferire l'immortalità e di guarire qualsiasi malattia; un cuore di Golem, si narra tra gli arcani e gli alchimisti, può far acquisire l'onniscienza su eventi passati e futuri, sul bene e sul male. Tuttavia, anche i filibustieri più accaniti non sono indifferenti alle storie su questa pietra poiché pare che dia infine la possibilità di trasmutare in oro i metalli vili
- sugli scritti relativi agli Eterni, si cita il magico Scudo di Mehez come "forgiato con quarzo di Golem". Da questa frase, è nata la convinzione che le rocce che compongono il Golem sino caratterizzata da una fenomenali capacità di resistenza.

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Creazioni e invenzioni

In MoA, i personaggi sono liberi di proporre, compatibilmente con il mestiere scelto, la creazione di materiali particolari, tessuti, ricette culinarie... e tutto ciò che la fantasia può suggerire. Se vuoi sapere cosa hanno ideato finora i player con i loro pg... iscriviti! E gioca con noi!

Rituali

Il recinto dei venti è un rituale di competenza della Congrega dell'Aria. Se vuoi scoprire di cosa si tratta... iscriviti! E gioca con noi!
Il rituale "Scettro della Dea", detto anche "Nox erat", ha il grande potere di ricostruire il Sacro Oggetto della Dea Selyn. Se vuoi scoprirne i potere, iscriviti... e gioca con noi!
Il rituale "Barriera dei Quattro", detto anche "ànemos", ha il grande potere di formare strati di barriere elementali a difesa di un luogo. Se vuoi scoprirne le potenzialità... e gioca con noi!
Il rituale di resurrezione, detto anche "resurgo", ha il grande potere di riportare in vita un personaggio deceduto. Se vuoi scoprirne le potenzialità... e gioca con noi!
ll rituale "Viaggio onirico" permette ad un personaggio e a chi lo accompagna di addentrarsi nella dimensione del Sogno, nonché in quella degli Spiriti. Se vuoi scoprire di cosa si tratta... iscriviti e gioca con noi!
Il rituale "Barriera dello Spirito", ha il grande potere di poter proteggere un edificio dalle creature dell'Oltretomba. Se vuoi scoprirne le potenzialità... e gioca con noi!

 

I canti del bardo

Filastrocca della Notte scura (o della Dama Nera)

È l'antichissima filastrocca della Dea Phebe che le sue ombre erano solite bisbigliare per preannunciarne l'arrivo. Adottata sin dai tempi antichi anche dalla cultura popolare akashana, è divenuto un canto tradizionale spesso usato dai bambini durante i giochi serali come il nascondino, oppure da mamme e nonne per incutere timore nei pargoli, affinché stiano zitti e buoni al momento di coricarsi. Credenza comune vuole che cantando tutte le strofe in una notte Senza Luna, sia possibile richiamare la Dama Nera.

 

Viene la notte, la notte nera,

con ali di corvo vola leggera.

Viene la notte, la notte scura,

e viene la Dama che fa paura!

 

Viene, viene con passi furtivi,

per i bambini che han fatto i cattivi:

quanto è terribile non si può dire,

viene dal buio e non lascia dormire!

 

Mamma, che notte, che notte scura

Quella della Dama che fa paura!

È la tua ombra che ti corre dietro

In questo buio orrido e tetro?

 

Chissà, non importa, pensa a scappare!

Corri più in fretta, non inciampare!

Perché se cadi per te è finita,

viene la morte, fugge la vita!

 

E torna la notte, la notte scura,

e torna la Dama che fa paura!

Un istante hai solo, invero,

per risolvere il mistero!

 

E se non ci riuscirai,

nel mistero morirai!

Sarai nella notte, la notte scura,

insieme alla Dama che fa paura!

 

 

Fonte: Tiziano Sclavi, Dylan Dog (https://www.youtube.com/watch?v=wTi1Gh6Rh_U)

Il duello dei Campioni

[Si tratta di un antichissimo canto, risalente all'Era dell'Oblio. Soren, colui che per primo cantò dell'epico duello tra Keljon - il Primo Custode dell'Equilibrio ma, al tempo narrato, Campione di Crjos - e il Campione di Mehez, l'imbattibile Trevorian. Non si trattava solo di stabilire chi dei due fosse il più forte, come i due Dei si sollazzavano ad osservare: il destino degli Uomini dipendeva dalla sconfitta del Dio della Guerra e dal suo protetto... una sconfitta che poteva essere raggiunta solo con un estremo sacrificio. Ormai è cosa nota, narrata innanzi ad ogni focolare: Keljon aveva previsto che, una volta sconfitto, sarebbe stato "divorato" da Trevorian - che aveva l'abitudine di strappare il cuore dal petto allo sfidante perdente e mangiarlo. E fu così che il Campione di Crjos, avvelenò se stesso affinché il rivale si ammorbasse di conseguenza, rendendosi vulnerabile. Sappiamo come, alla fine, fu Dramor Kadmon ad uccidere Trevorian e come Keljon, il risorto, uccise Mehez. Ma senza quel duello, nulla del resto sarebbe accaduto]

Un tuono nell'aria nel cielo calmo e lindo
l'inizio del duello che farà tremare il mondo
Il primo sangue, tra urla di rabbia e di giubilio
Il secondo sangue tra scherma e di sabbia l'imbroglio

In guerra, come in amore, ogni trucco vale
in guerra solo con l'onore, ogni trucco è vile
la verità del giusto, infine, quale mai sarà?
il vincitore, il sopravvissuto, lui la decreterà

Colpo su colpo con fervore gli arditi colossi pugnano
acciaio contro acciaio, l'armi di sangue si bagnano
giacciono a terra provati, assieme i due prescelti
d'uno solo resta la vittoria, nell'arena e sugli spalti

In guerra come in amore, ogni trucco vale
in guerra solo con l'onore, ogni trucco è vile
la verità del giusto in fondo quale mai sarà?
il vincitore, sopravvissuto colui che la decreterà

un cuore dal corpo caduto, ultimo macabro trofeo
un cuore divorato, sfregio e tenzone del torneo
spossato, dolente, un meschino vincitore alla ribalta
l'oblio sullo sfidante, un tuono, il cielo piange od esulta?

In guerra come in amore, ogni trucco vale
in guerra solo con l'onore, ogni trucco è vile
la verità del giusto in fondo quale mai sarà?
il vincitore, sopravvissuto colui che la decreterà

 

Chiamata alle armi!

[Ballata composta dal bardo Soren, colui che cantò delle epiche gesta degli Eroi dell'Era dell'Oblìo. La ballata narra di come i cittadini di Henosis furono furono chiamati a combattere sotto il vessillo di Kidja, sorella di Keljon, nella battaglia che decretò la ribellione generale di tutti gli Umani, contro gli Dei]

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Gia in ogni dove le armi si snudano, affilate ardimentose
gia in ogni dove gli spiriti si accendono, fiamme radiose

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Credi a me amico mio, solo nell'azione giungono gli allori
credi a me amico mio, vanno a chi combatte tutti gli onori

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Guarda la città, nobile e magnifica; migliorala senza risparmio
Guarda la città, nobile e magnifica; difendila, sii ben caparbio

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Sii libero di scegliere, cittadino, chi vuoi servire
Sii libero di scegliere, forestiero, dove puoi aiutare

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Per te che lo domandi; a chi io offra la mia viva rima
Per te che lo domandi; a chi offrire la tua netta stima

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

Io ti dirò votati a Kidja, custode di tramontana, la pugnace
Io ti dirò offriti ai mantelli cesii, la compagnia piu audace.

Figlio di Henosis destati! Credici, il futuro ti appartiene
Figlio di Henosis schierati! Senza indugio e con decisione

 

La Notte delle Ceneri

[La fine della famiglia Danan, alla fine del 1969, viene così ricordata dai bardi al soldo degli Argeal]

La Notte delle Ceneri (link)

Corri veloce nella tua città - dove più nessuno ti seguirà;
corre il tuo sogno che s'infrangerà - in cima a tre picche di fredda realtà,

E' giunto il giorno in cui tu pagherai per ogni tua viltà
la folla oggi non ti proteggerà
il nome tuo, stanotte brucerà.

Corri veloce nella mia città - fuoco punitor non ti aspetterà;
corre vendetta che rabbia sarà - dritto alla rovina ti porterà.

E' l'ultima parola che dirai quella che conterà
ma nulla più salvar essa potrà..
quando il tuo nome, cenere sarà..
un cigno, nel suo argento, splenderà.

Portatrice di Luce (o Ballata della Nuova Estate)

E' una ballata popolare tipica di Tarsia risalente all'era dell'Eblio e che narra l'eroica impresa compiuta dai tarsiani quando sconfissero la Dea Phebe durante la Prima Eclissi. L'autore è ignoto e il testo ha subito degli aggiustamenti rispetto la versione originale infatti i nomi dei tarsiani citati sono stati cambiati più volte; inoltre si racconta che in una versione precedente la canzone facesse riferimento alla presenza in battaglia degli Aideloniani, ma questo fatto è stato più volte ricusato dagli abitanti del Nord che da sempre si ritengono gli unici fautori di quella impresa.

 

La storia che voglio narrare

è intrisa di sangue e dolore

versati senza implorare

pietà per chi serba rancore.

 

È la storia d'un popolo audace,

vorace e foriero di libertà,

di chi ha detto addio alla luce

per poter fuggire l'oscurità.

 

Nella grotta la Mentore Ziva

gli Eterni caduti a contar iniziò

ma la Dea che allor compariva

sotto la Quercia il cuor le strappò!

 

La battaglia iniziava violenta

con le Ombre a scavare una breccia,

La Terra e i suoi figli lottavan con grinta

mentre l'arciere scoccava una freccia...

 

Portatrice di Luce, sorella del Sole,

ascolta la voce di queste parole

di chi ti prega con anima pura

perché non vuole più avere paura.

Portatrice di Luce, corri veloce,

porta il messaggio per chi non ha voce.

Attraversa la Notte, urla alla sera,

segna la fine della Dama Nera.

 

E scaccia la notte, la notte nera

con ali di corvo va via leggera.

Arriva il giorno, il giorno che vuole

che dopo ogni notte risorga il Sole.

E mentre fugge la notte scura

insegui la Dama che fa paura

dai nostri boschi venga cacciata:

la nuova estate è appena iniziata!

 

Ma la Dea si sciolse nell’ombra

e il Sibilo alle labbra portò,

così in fondo alla penombra

un mostro aberrante evocò.

 

Ma un piccolo guerriero

in silenzio da Phebe arrivò,

con un balzo e un urlo fiero

il Sibilo dalla mano le strappò

 

Piccolo figlio della Madre Terra

con la tua picca il colpo sferra!

Che il tuo valore e il tuo coraggio

saran cantati in ogni villaggio!

Piccolo figlio della Madre Terra

Lascia il tuo segno in questa guerra,

disarma la Notte, urla alla sera,

che perda il suo Sibilo la Dama Nera.

 

Phebe con occhi rossi e furenti

verso il saltafungo si voltò

e prima che potesse far altrimenti

con la sua mano Ciobin afferrò

 

Ma Amial fu lesta e veloce

a prender da Terra il Sacro Oggetto,

ricattò la Dea alzando la voce

Mentre Vanadir scoccava al suo petto.

 

Portatrice di Luce, sorella del Sole,

ascolta la voce di queste parole

di chi ti prega con anima pura

perché non vuole più avere paura.

Portatrice di Luce, corri veloce,

porta il messaggio per chi non ha voce.

Attraversa la Notte, urla alla sera,

segna la fine della Dama Nera.

 

Nella grotta un forte bagliore

dal corpo di Phebe si sprigionò.

Dal suo grembo si schiuse un fiore

che con petali d’oro il buio scacciò.

 

Tenebre ed Ombre fuggirono via

mentre Tarsia trionfane esultava

e sulla Terra restava la scia

del sangue dei morti che il suolo bagnava.

 

E scaccia la notte, la notte nera

con ali di corvo va via leggera.

Arriva il giorno, il giorno che vuole

che dopo ogni notte risorga il Sole.

E mentre fugge la notte scura

insegui la Dama che fa paura

dai nostri boschi venga cacciata:

la nuova estate è appena iniziata!